Domanda impegnativa, quella di una alunna durante l’ora di religione: «A cosa è servito il diluvio, se l’uomo è tornato quello di prima?». Rispondere non è affatto semplice. Ma ci proviamo.
Partiamo dall’acqua: mi piace, fresca d’estate, rigenerante, indispensabile, semplice perché non ha sapore. Esce dalle sorgenti di montagna, un dono della natura; scorre, inonda, lava, si infiltra. La troviamo nel mare che affascina l’uomo per la sua immensità. La nostra prima culla è l’acqua del grembo materno. Nel diluvio biblico, per Noè diventa mezzo di salvezza e purificazione.
Ciò che si sporca avrà bisogno di altri lavaggi. La stessa cosa accade alle nostre buone intenzioni, non immuni dalle cadute.
Una storia di salvezza
Ce l’hanno insegnata fin da piccoli la storia di Noè e della sua arca piena di animali. Un Dio arrabbiato decide di mandare sulla terra un enorme diluvio per fare pulizia dei peccati degli uomini. Quest’ultimi erano diventati talmente malvagi che Dio si pentì di averli creati e decise di sterminarli. Sappiamo come va a finire. Un uomo giusto, Noè, sarà chiamato per costruire un’enorme arca che salverà l’intera umanità. Simboli come la colomba con il ramo di ulivo nel becco e l’arcobaleno, presenti nelle pitture e nei mosaici delle nostre chiese, rappresentano una pace ritrovata, un’alleanza – parola importante nella Bibbia – tra Dio e l’uomo.
Una volta ristabilita la pace però, tutto è tornato come prima. L’uomo ha ripreso a fare del male agli altri, a se stesso e al pianeta. A cosa è servito il diluvio? L’uomo ha imparato qualcosa?
Le lezioni non bastano mai. Ripetiamo sempre gli stessi errori, la vita dell’uomo è una continua caduta. I nostri buoni propositi sono simili a quelli di Pinocchio che prometteva alla fatina di diventare un bravo ragazzo; le sue buone intenzioni naufragavano quando sulla strada incontrava il gatto e la volpe o Lucignolo. Camminiamo su una strada cosparsa di sabbie mobili; pensiamo di avere gli strumenti per difenderci ma i conti li facciamo sempre con quell’oste antipatico che è la nostra fragilità.
C’è sempre spazio per un arcobaleno
Noè sulla sua strada incontra un Dio disposto a scendere a patti con l’uomo. L’acqua del diluvio è un’acqua che purifica, per i cristiani anticipazione del battesimo. Alla fine del diluvio vede un segno meraviglioso: un arco tra le nubi.
Ricordo un arcobaleno che vidi dopo un periodo faticoso; è rassicurante, ci spinge a ricominciare donando all’uomo uno spunto per ripartire. Non c’è miglior segno della natura che ci induca a sperare che tornerà il bello anche dopo momenti duri. “Ogni mia speranza è posta nella tua grande misericordia” dice S.Agostino; speranza di rivedere l’arcobaleno e ritrovare la pace.
Papa Francesco parlando ai giovani a Panama ha toccato proprio questo aspetto: “L’amore del Signore è più grande di tutte le nostre contraddizioni, di tutte le nostre fragilità e di tutte le nostre meschinità. Ma è precisamente attraverso le nostre contraddizioni, fragilità e meschinità che Lui vuole scrivere questa storia d’amore. Ha abbracciato il figlio prodigo, ha abbracciato Pietro dopo i suoi rinnegamenti e ci abbraccia sempre, sempre, sempre dopo le nostre cadute aiutandoci ad alzarci e a rimetterci in piedi. Perché la vera caduta – attenzione a questo – la vera caduta, quella che può rovinarci la vita, è rimanere a terra e non lasciarsi aiutare”.
Noè scende dall’arca sano e salvo e con lui tutti gli animali. È il segno di una nuova creazione e di una solida speranza.
Andrea Gironda
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