di Umberto Folena
Vieni, bambino mio, vieni dalla mamma. Oggi voglio raccontarti una storia. È una storia molto importante perché parla anche di me, di te, di noi tutti. Del nostro passato e soprattutto del nostro futuro. È la storia dei tuoi nonni: senza di loro, nulla sarebbe potuto accadere. Te li ricordi? No, non puoi ricordarteli.
L’ultima volta che siamo andati a trovarli eri troppo piccolo. Sapessi come brillavano i loro occhi quando ti hanno preso in braccio. Perché devi sapere che loro ci hanno fortemente voluti, te e me. Desiderati con tutto il cuore. Ma il tempo passava e io non nascevo. E senza di me, non saresti nato neanche tu.
Ma gli anni passavano e Gioacchino niente, non aveva figli. Sai, mio piccolo Gesù, che cosa fa un buon israelita in questi casi: parte, va nel deserto e digiuna. È un modo per mettere alle strette Dio, costringerlo a darci ascolto. Quaranta giorni e quaranta notti, tanto il nonno rimase nel deserto di Giuda, fatto di sassi e crepacci, prima di intenerire Dio. Ho pensato tante e tante volte a questa storia, che Gioacchino e Anna non raccontarono mai e io seppi da Giuditta, la fidata domestica.
Credo che nostro Padre avesse un piano su Gioacchino e la sua discendenza ma, prima di attuarlo, volesse essere sicuro, sicurissimo della sua fede. Nostro Padre non si diverte certo a sottoporci a dure prove, anche le più estreme, ma talvolta vi è costretto. Ricordalo sempre, bambino mio…
Che festa, quando Gioacchino è tornato dal deserto dove Anna lo credeva morto. Che festa quando incontrò Anna, la abbracciò, e in piazza si arrostivano i capretti per tutti, perché tutti dovevano fare festa e tutti, proprio tutti si domandavano: perché stiamo facendo festa? Che cos’è accaduto di così importante? Gioacchino è un uomo ricco e generoso ma una festa così non si è mai vista a memoria d’uomo. Ma che importa, mangiamo e beviamo e ringraziamo il nostro benefattore. Così dicevano.
Gioacchino e Anna erano presto spariti della festa per andare nella loro stanza, dove restarono quella notte e tutto il giorno successivo, riscoprendo la tenerezza di quand’erano giovani, la passione dei loro primi incontri. E io nascevo, il dono di Dio per chi gli era stato tanto tenacemente fedele.
Di un altro fatto importante non ho memoria, se non qualche sensazione. Per tre anni ero cresciuta davvero come un dono di Dio che a Dio andava restituito. La mia stanza era come un tempio, Anna mi ricopriva di tenerezza, Giuditta aveva mille attenzioni e Gioacchino mi scrutava con gli occhi carichi d’amore. Ne sono sicura: in me non vedeva soltanto Maria, la sua bambina, ma anche te e un popolo più numeroso delle stelle nel cielo. Vedeva e taceva, perché sapeva che la via della fede è fatta anche di dolore e sacrificio, di delusione che sfocia nella gioia, come la storia del mio concepimento.
Emanuela dice
Interessante………e utilizzabile in classe