Vidi in concerto Avril Lavigne a Milano, nel 2008. Era all’apice della carriera, e pur non essendo esattamente del “mio genere” mi piacque un sacco, e mi fece una grande impressione. Bella e brava, certo, ma non solo. Dava l’idea di non essere la classica starlette per adolescenti, ma ben di più. Era brava e lo sapeva, non scrivi per caso una canzone in cui dici “I’m the best damn thing that your eyes have ever seen” (“Sono la cosa più dannatamente bella che i tuoi occhi abbiano mai visto”). In ogni caso, album da milioni di copie vendute, pezzi che conoscono tutti (Sk8er Boi e Complicated, tanto per dirne due) e successo planetario per una ragazza canadese che aveva cominciato cantando nel coro gospel della parrocchia.
Poi, almeno per un ascoltatore distratto come me, Avril Lavigne sparisce. Fa un paio di canzoni, anche una breve apparizione a Sanremo (vabbè) nel 2011 con una canzone dal titolo piuttosto esplicito (What the Hell, ovvero “Ma che diavolo”) in cui si parla dei suoi problemi sentimentali. Per la cronaca, si è sposata e separata due volte.
Arriva il buio. Buio, si scoprirà, dovuto a una malattia. Non alla droga, come qualche maligno aveva insinuato in rete, ma alla malattia di Lyme, dovuta a un batterio trasmesso dalle zecche, che la costringe a letto per cinque mesi: “Potevo a malapena mangiare, non avevo idea che una puntura di insetto potesse causare tutto ciò, mi sentivo letargica e con capogiri, c’erano decisamente volte in cui non potevo farmi la doccia per una settimana intera perché non mi reggevo in piedi, mi sentivo come se mi fosse pian piano succhiata via tutta la mia vita. Mi sono sentita come se non potessi respirare, non riuscivo a parlare e non riuscivo a muovermi; credevo di stare per morire”.
Arriva anche la separazione dal secondo marito, nel 2015: un periodo devastante, eppure evidentemente dentro di lei succede qualcosa. Che cosa, lo scopriamo tre anni dopo, quando pochi giorni fa, dopo un silenzio musicale durato cinque anni, esce “Head Above Water”, il suo nuovo singolo che è anche una preghiera.
Nella canzone lei racconta il periodo della malattia: “Pensavo di morire e avevo accettato che sarei morta. Mia madre stava con me a letto e mi teneva. Mi sentivo come se stessi annegando. Sotto il mio respiro, pregavo “Dio, ti prego, aiutami a tenere la mia testa sopra l’acqua”. In quel momento, la scrittura di questa canzone e di questo album iniziò. Era come se avessi attinto qualcosa. È stata un’esperienza molto spirituale. Le parole sono fluite attraverso di me, da quel momento in poi.”
Avril Lavigne non è la prima persona che trova (o ritrova) la fede in un momento di crisi, e non sarà l’ultima. D’altronde lo dice la parola stessa “crisi”, che nell’etimologia richiama a discernere, valutare, separare. Nel momento di difficoltà uno si rende conto di cosa conta davvero, e cosa no. Il lettore cinico, però, potrebbe osservare che è facile affidarsi a Dio nel momento di difficoltà, e poi magari dimenticarsene appena la difficoltà è superata.
Avril Lavigne però non ha fatto questo, anzi. Ha pubblicato la canzone tre anni dopo, quando ormai tutto è superato, ma evidentemente la fede è rimasta.
Yeah my life is what I’m fighting for / Can’t part the sea / Can’t reach the shore / And my voice becomes the driving force.
Quando ci si sente in mare aperto, in mezzo alla tempesta e non si vede la riva… la scelta è stata quella di fidarsi, e di affidarsi. Usando la voce, il suo talento più grande, e anche il mezzo per la preghiera.
God keep my head above water / Don’t let me drown / It gets harder / I’ll meet you there at the altar / As I fall down to my knees / Don’t let me drown / Don’t let me drown
Chi è Dio per Avril Lavigne? E’ colui che ti tiene la testa fuori dall’acqua, e ti impedisce di annegare, anche quando si fa davvero dura.
Dove trovi Dio? Lo trovi sull’altare, quando hai il coraggio di inginocchiarti.
Credo che questa sia la frase chiave di questa bellissima canzone. In un’epoca di religioni “fai da te” e di Dio “a propria immagine e somiglianza” non è poco.
Considerato che il video ufficiale di “Head above water” ha avuto quasi 7 milioni di visualizzazioni su Youtube in una settimana, credo che il messaggio sia gigantesco.
Bruno Trebbi
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