La scorsa settimana i miei alunni hanno risposto a questa domanda offrendo il loro punto di vista. Come sempre accade, sono arrivate delle interessanti riflessioni: chi porterebbe con sé durante il viaggio delle fotografie, chi dei piccoli ricordi, chi oggetti utili per fotografare o prendere nota di quanto vedrà e imparerà.
C’è anche chi ha scelto un tablet per rimanere collegato con i propri familiari e chi delle tempere per ricordare che nel mondo ci sono sempre i colori.
E tu, maestro, cosa porteresti? Una mia alunna mi ha rivolto questa domanda a cui non è stato facile rispondere.
Il viaggio è senz’altro un’esperienza che ci mette davanti a delle difficoltà di tipo pratico (cosa portare, quanto deve essere grande la valigia…), altre di tipo emotivo (cosa vedremo, chi incontreremo…) lasciando spazio ad una normale inquietudine per l’ignoto a cui andremo incontro. Anni fa, una mia professoressa con la passione per i viaggi, mi disse che osservando il modo di viaggiare dei popoli si possono scoprire e studiare molti dei loro usi e costumi.
Ma cos’è veramente un viaggio? È sempre indispensabile prendere un treno o un aereo e lasciare la propria casa? Il viaggio è metafora della vita, in cui è necessario scegliere quale bagaglio portare con sé, quali sono i compagni migliori, verso quale punto cardinale orientare la nostra direzione. I viaggi che prediligo sono quelli che compio stando fermo. Sembra un paradosso.
Mi capita con i libri. Non saprei rinunciare alla lettura perché spesso è già essa stessa un viaggio. Nella mia valigia della vita non mancano i libri.
Credo che i libri esistano proprio per farci compagnia in questo viaggio, per darci conforto nell’asperità del percorso. Esistono e rimangono con noi perché l’uomo, prima di ogni altra cosa, è memoria e la sua vita è la vita delle generazioni che lo hanno preceduto
Susanna Tamaro, Ogni angelo è tremendo
Una seconda dimensione del viaggio è la scrittura che “esercita una forma di possesso spietata. È incivile. Maleducata. Non conosce giorno, notte, non le importa se mi trovi in mezzo alla gente. Per lei non esiste altra ragione che la sua esistenza, su tutto e tutti” (Daniele Mencarelli, La casa degli sguardi).
Durante le mie giornate non manca mai lo spazio per la scrittura; a volte mi assale questo bisogno di fermare le parole, cercarle, analizzarle, stiracchiarle fino a trovare quella giusta, assaporarne il vero significato risalendo spesso alla sua genesi. Anche durante i viaggi – quelli veri – lascio sempre uno spazio per le parole.
Si viaggia anche con la musica attraverso la quale conosciamo stili, sonorità, strumenti e culture dei vari paesi del mondo, nel tempo presente così come in quello remoto. Durante i miei spostamenti – dai più brevi ai più lunghi – la musica non manca mai, è sempre con me “on the road”.
Qualunque sia il viaggio è indispensabile però avere lo spirito giusto. Mi vengono in mente le parole di Francesco de Gregori in una bellissima canzone del 1992 dal titolo “Viaggi e miraggi”: “Partiamo che il tempo è tutto da bere. E non guardiamo in faccia nessuno che nessuno ci guarderà. Beviamo tutto, sentiamo il gusto del fondo del bicchiere”. Dobbiamo essere pronti a partire, a gustarci ogni momento, ad esplorare nuovi orizzonti, allargare i confini. È indispensabile mettere in valigia questo spirito di inappagabile curiosità; quando viaggio cerco di conservare dentro di me più immagini possibili. Nella vita di tutti i giorni invece a muovermi è la curiosità di indagare e conoscere, soprattutto ciò che concerne l’uomo.
“Alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare”, va avanti De Gregori. Si torna da un viaggio sempre diversi, con un bagaglio ancora più grande di quello con cui si è partiti, a volte felici, altre volte delusi. Spesso è bello anche descrivere i viaggi, proprio come la vita che merita di essere raccontata.
Ancora una volta è valida la metafora che lega il viaggio alla vita. E come in un viaggio che si rispetti la destinazione è più importante del bagaglio.