«Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti non appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10, 13-15).
La lettura del vangelo di domenica 7 ottobre, dopo i primi 12 versetti del capitolo 10 di Marco dedicati a matrimonio e divorzio («L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto»), ci presenta l’episodio nel quale Gesù «s’indignò» nei confronti dei discepoli che stavano impedendo a dei bambini di andare ad abbracciarlo, temendo che dessero fastidio al loro Maestro.
Roberto Seregni, nel suo libro «A MANI VUOTE – L’alfabeto della preghiera» (Àncora, 2012), mostra il suo affetto nei confronti del Salmo 131 nel quale, scrive, vediamo «l’atteggiamento fondamentale con il quale il credente si dispone alla preghiera». Questo il salmo:
Signore, non si esalta il mio cuore
né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi
né meraviglie più alte di me.
Io invece resto quieto e sereno:
come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è in me l’anima mia.
Israele attenda il Signore,
da ora e per sempre.
Questo salmo, scrive Seregni, «è forse uno dei più belli di tutto il salterio, è un colloquio tra il credente e Dio, un incontro cuore a cuore in cui l’uomo non chiede nulla ma si apre alla gratitudine e alla confidenza». Come un bambino davanti a sua mamma.
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