Tutto nella natura
ha una sua saggezza nascosta.
E se le cose visibili sono così belle,
quali saranno le cose invisibili?
San Basilio di Cesarea
(Omelie sull’Opera dei sei giorni)
Lassù un leone ci osserva minaccioso spalancando le fauci. Poco sotto un cervo fugge inseguito da una bizzarra figura, mezzo uomo, mezzo cavallo. Davanti a noi, tra un groviglio di rovi, si dibatte un uccello, mentre un asino tenta di suonare una cetra. Arretriamo di qualche passo, incuriositi, dubbiosi. Quanto basta per tenersi alla larga dalle spire di un drago, per nulla amichevole. Ma dove siamo finiti?
Un linguaggio simbolico
In una chiesa. E che sia una cattedrale o una sperduta cappella di campagna non fa poi molta differenza, se si tratta di sacri edifici dell’epoca medievale: sulle facciate come sui capitelli, nei chiostri dei monasteri come nelle pagine degli antichi codici miniati è tutto un agitarsi di creature animali, reali o fantastiche, mansuete o feroci. Belve in lotta fra loro, figure mostruose, docili quadrupedi. Un serraglio sorprendente scolpito nella pietra viva o dipinto a tinte vivaci, a volte da mani ingenue, più spesso con grande maestria.
Si ammira estasiati, eppure qualcosa pare sfuggirci. Perché, vien da chiedersi, gli artisti medievali scelsero queste figure animali? Che cosa pensavano i fedeli di allora alzando lo sguardo a queste immagini?
Perché i teologi, che spesso guidavano il lavoro degli artisti, suggerirono proprio tali soggetti? Soltanto per un indefinito gusto decorativo? Improbabile.
È evidente che ci troviamo di fronte a un linguaggio che in buona parte ci risulta ormai oscuro, e che quindi non riusciamo più a decifrare immediatamente. Un linguaggio che si serve di simboli e di segni per “parlare” delle verità celesti.
«Ogni creatura del mondo funge per noi da specchio della nostra vita, della nostra morte, della nostra condizione ed e segno fedele della nostra sorte».
Alano di Lilla
XII secolo
Ecco perché i “bestiari”, scritti o scolpiti, dipinti o miniati, hanno tanta diffusione in epoca medievale. Gli animali che ci circondano, infatti, possono essere letti in chiave simbolica, quale personificazione dei vizi umani o, al contrario, come raffigurazione delle virtù e degli stessi insegnamenti, morali e spirituali, della dottrina cristiana.
Simboli che rimandano al cielo
Poste nelle chiese e nei chiostri, attorno ai portali e agli altari, solitamente bene in vista, queste figure animalesche appaiono dunque come ammonimenti o richiami, simboli che dalla terra rimandano al cielo. Una catechesi per immagini, efficace quanto suggestiva, potente ed evocativa, che accompagna il monaco nella contemplazione quotidiana, il fedele nella preghiera, il pellegrino nel suo cammino. Dove ognuno si sente parte di un tutto, creatura allo stesso tempo unica e universale.
Immagini, dunque, che non hanno una funzione decorativa né uno scopo narrativo, ma che presentano semmai un valore pedagogico, quindi non sempre immediatamente comprensibili, pretendendo da chi le osserva uno sforzo di interpretazione, che presuppone a sua volta un desiderio di conoscenza.
Che è poi il compito stesso dell’arte, come affermano maestri del XII secolo (Sigiero di Saint-Denis così come Bernardo di Chiaravalle): far sorgere lo spirito cieco verso la luce. L’arte, insomma, come strumento di rivelazione, di rinascita, di quella conversione che deve continuamente operare all’interno dell’uomo, al di là del semplice approccio emozionale di uno sguardo.
Dal “Bestiario medievale” di Luca Frigerio (Àncora, 2011)
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