La meraviglia e la paura. In aereo le provo entrambe, cercando di mostrare la prima e nascondere la seconda, senza peraltro riuscirci troppo bene. L’altezza mi spaventa, e per questo motivo snocciolo 23 rosari al minuto, che se non è record mondiale poco ci manca. Eppure, non posso nasconderlo, mentre non vedo l’ora di rimettere i piedi sulla terraferma non posso che essere stupito dalle nuvole viste dall’alto.
A bordo
Il vangelo di domenica 18 novembre (Mc 13, 24-32) è come un gate che porta ad un aereo particolare. Perché se la fine del mondo te l’aspetti meravigliosa (e infatti di una persona bellissima si può dire che è “la fine del mondo”), certo fa anche un po’ paura. E le parole di Gesù non sembrano rassicuranti: il sole si oscurerà, la luna non darà la sua luce, le stelle cadranno dal cielo, le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte… Insomma, una fine del mondo tutt’altro che soft, come quando il comandante invita ad allacciarsi le cinture perché «stiamo per attraversare una leggera turbolenza». In questo caso – apprezziamo almeno la trasparenza nelle comunicazioni – leggera non lo sarà per niente.
Ma se l’intenzione dell’evangelista Marco è quella di mantenere salda la speranza della comunità (vedi box di approfondimento nella Bibbia Giovane), allora il punto è questo: come arrivare a questo momento di paura e meraviglia?
L’assurdo mestiere
Mi ha sempre affascinato il testo di una canzone di Giorgio Faletti, presentata a Sanremo nel 1995. Molti si ricordano “Minchia signor tenente” (e a ragione perché è un altro capolavoro), questa invece è dell’anno successivo. Si chiama “L’assurdo mestiere” e siccome alla fine – faccio lo spoiler – spiega che questo assurdo mestiere è l’amore, in un modo o nell’altro con Dio ha comunque a che fare. C’è poco cantato e molto parlato, ed è un parlato che inizia subito con un’allusione sessuale, giusto a voler scandalizzare un poco la platea (ma oggi si scandalizzerebbe più qualcuno?). Però questo traballante protagonista della canzone prosegue, rivolgendosi a un dio al quale neppure sa se credere o no. E dopo averlo ringraziato per i cartoni animati, per «il disegno allegro della pipì sulla neve» e per «le carezze di mio padre e di mia madre», affronta il tema della morte. Che, certo, non sarà sovrapponibile al «ritorno del Figlio dell’uomo», ma si tratta comunque di una fine che, in quanto tale, ci terrorizza e, in misura generalmente inferiore, ci meraviglia. San Francesco la chiamava “sorella morte”, consapevole che non è una fine ma una porta spalancata sull’infinito.
Il protagonista della canzone di Faletti non ci riesce: per lei, dice rivolgendosi a Dio, «altri ti han benedetto ma io no/ mi dispiace ma sono solo un uomo e non ne son capace». Le ultime frasi della parte parlata sono un capolavoro di schiettezza e profondità: «Mentre decidi ogni premio e ogni castigo/ Mentre decidi se son buono o son cattivo/ Fa’ che la morte mi trovi vivo/ E se questo avverrà io ti prometto/ che mille e mille volte ti avrò benedetto». Poi chiosa, con sarcasmo: «E se per caso non ci sei, come non detto».
Farsi trovare vivi, sempre: e se fosse questo un piccolo segreto per superare le nostre paure?
Lorenzo Galliani
Il vangelo di domenica 18 novembre
Il ritorno del Figlio dell’Uomo (Mc 13, 24-32)
In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.
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