Di ritorno dal Sinodo, con tanto entusiasmo addosso. Gioele Anni, consigliere del settore giovani dell’Azione Cattolica, è stato uno dei 34 giovani uditori al Sinodo dei giovani.
Quali erano le attese della vigilia? E, soprattutto: sono state rispettate?
Le attese erano tante, perché il percorso del Sinodo parlava il linguaggio di noi giovani, che percepiamo – eccome! – la distanza tra molti nostri coetanei e la Chiesa. Il tema del discernimento vocazionale mi è sembrato l’occasione per costruire un ponte. Perché, cattolici o no, credenti o no, tutti arrivano prima o poi a chiedersi: ma io perché sono al mondo? Non è detto che si arrivi a una risposta religiosa, ma la domanda è comune. Quanto al lavoro del sinodo, posso dire che noi giovani uditori ci siamo sentiti “protagonisti”, anche se questo termine può prestarsi a fraintendimenti, e comunque molto ascoltati. La dinamica è stata di cammino insieme: giovani e padri si sono (o meglio, ci siamo) riconosciuti in cammino sulla stessa strada.
Il documento finale rischia di essere oggetto di molti slogan, mettendo l’accento solo su questa o quella questione. Ma c’è un tema che, magari per una tua particolare sensibilità, ti ha colpito di più?
In effetti, la forza di questo documento sta proprio nel leggerlo tutto intero, nel non spezzettarlo. Mostra una visione integrale dei giovani, al termine di un cammino lungo due anni. Ma non sfuggo alla domanda e, rispetto ai temi, ne dico due. Il primo: i giovani considerati parte attiva della Chiesa, non oggetto di evangelizzazione ma soggetti. Dare spazio ai giovani non vuol dire metterli in un “parlamentino” nel quale prendere alcune decisioni, ma averli integrati in spazi di corresponsabilità. Il secondo tema è quello dell’affettività. Mi ha colpito come i padri abbiano trattato questo tema, con pudore, competenza, voglia di ascoltare le nostre fatiche, le nostre fatiche e i nostri slanci. E credo che questo sguardo, nel documento, emerga tutto.
Chiuso il Sinodo, c’è il rischio che quanto di buono costruito possa fermarsi e non dare frutto?
Credo che il rischio ci sia sempre, in particolare nella “pastorale dei convegni” che ovviamente è necessaria ma da sola è insufficiente. Penso che il Sinodo abbia fatto la scommessa di introdurre momenti originali – penso al momento del pellegrinaggio con padri e giovani insieme – e che soprattutto debba continuare nelle chiese locali, favorendo le occasioni di apertura ai giovani. Non penso al classico incontro rivolto ai ragazzi, ma anche a modalità nuove, attraverso la cura nelle scuole e nelle università, l’attenzione ai poveri e tanto altro. Valorizzando anche tutto il buono che la Chiesa sta già facendo.
Lorenzo Galliani
Gioele Anni intervistato da Vatican News
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