di Guglielmo Cazzulani
Non erano tre, non erano re, erano solamente “magi”. Le incrostazioni fiabesche sulla vicenda raccontata dal vangelo secondo Matteo sono tra le più spesse di tutta la storia del Natale.
C’è voglia di melassa, in questi giorni di festa, per cui non si fa altro che spolverare zucchero a velo su queste pagine di vangelo, che invece sono così inquietanti nella loro drammaticità.
Uomini che vengono dall’Oriente si mettono alle calcagna di Gesù. Vogliono sapere, vogliono conoscere. Curiosi come sono, finiscono col combinare un bel macello, infilando una terribile pulce nell’orecchio a quel re sanguinario che fu Erode, vecchio decrepito che si stava godendo gli ultimi scampoli di un potere difeso con ferocia. Di lì a poco se ne sarebbe uscito dal palcoscenico della storia, non senza aver prima ordito l’ultima carneficina di quella gente giudea di cui continuò, lui che di stirpe era idumeo, a fidarsi tanto poco, anzi pochissimo, se non quasi niente.
Sul loro conto le leggende sarebbero presto fiorite. Vennero loro imposti i nomi: Melchiorre, Baldassarre e Gaspare; e a ciascuno di loro venne dato l’incarico di rappresentare davanti al Re almeno un continente del mondo.
Col loro arrivo, proprio nel giorno dell’Epifania, i presepi si riempiono di cavalli, di cammelli, di dromedari, di servitori e di lacchè. In verità, sul loro destino, da questo momento in avanti, non sappiamo più niente. Fuorché il fatto che se ne tornarono a casa, transitando questa volta alla larga da quel criminale di Erode, per una strada che non avevano ancora battuto, presto fagocitati dal buio e dal nulla, come una stella cadente che sciaborda velocissima in cielo per regalare a tutti un solo fumigante vagito di luce.
E qualche volta penso che nella loro parabola ci sia inscritta anche la mia. Sai che grazia se, in questa speditissima corsa (tanto rapida che già adesso mi manca il fiato), poco prima che la notte tutto inghiotta, ti capita d’incontrare un mistero: una grotta, un bambino, una giovane donna che allatta, una solitudine felicissima. E soprattutto tanta di quella luce che mi sembra d’abbronzare dentro un caldo quadro che credo essere dipinto da qualcuno del Rinascimento.
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