Il Vangelo di domenica (Mc 10, 46-52) ci presenta la figura di Bartimeo, che gettato il mantello si presenta davanti a Gesù, per chiedergli di riavere la vista. Una volta aperti gli occhi, Bartimeo vede il suo cammino: è quello di discepolo («E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada»). Proponiamo questo articolo scritto da Gilberto Borghi per Vinonuovo.
Nella nuova scuola, un Liceo, qualche classe inizia a capire come intendo fare lezione. Ho una quarta che sembrava un po’ restia a dialogare, quasi che la scuola fosse solo ascoltare, prendere appunti, studiare e prendere un voto. Ma piano piano stanno venendo fuori. Ci stiamo interrogando insieme sul valore oggettivo, soggettivo e intersoggettivo dei giudizi etici della coscienza. Robetta insomma!
Ho provato a utilizzare come punto di partenza per la discussione una frase di Francesco: “Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita” (il testo qui. E l’ho riassunto per loro così: la verità, anche etica, è oggettiva, ma l’accesso ad essa è sempre soggettivo).
Per rendere concreto questo concetto ho poi raccontato loro la storia dei ciechi e dell’elefante, dal Canone buddista (Udana VI, 4, 66-69). Un re convoca i ciechi dalla nascita del suo Paese. E fa toccare a ciascuno una parte diversa di un elefante, dicendo loro ogni volta: “Questo è l’elefante!” Ovviamente ognuno crede che l’elefante sia quella parte che lui ha sperimentato, creando così discussioni e parapiglia tra di loro su cosa sia l’elefante.
In classe, verso la fine della discussione uno studente mi dice: “Prof, lei insegna Religione cattolica. Un cattolico pensa di avere la verità. Che ruolo occupa un cattolico in questa storia dei ciechi e dell’elefante?” (Faccio ancora fatica coi nomi, ma mi sto allenando). Ho trovato la domanda davvero stimolante. “Bravo. Bella domanda. Proviamo a trovare insieme una possibile risposta?”.
Una sua compagna ha ribattuto: “Il cattolico qui dovrebbe avere il ruolo del re, ma che a differenza di questo re, fa toccare ad ogni cieco l’elefante intero”. “Sei sicura?”, le ho chiesto. “Certo, prof., anche la parola stessa, catha olos, sta a indicare che la Chiesa cattolica vede la verità intera”. “Mi fa piacere che tu sappia bene il greco” le dico. Poi rivolto alla classe: “Qualcuno ha qualche idea diversa?” Dal fondo un ragazzo con lo sguardo molto sveglio alza la mano. “Prof. per me la Chiesa dovrebbe riconoscersi come uno di quei ciechi, che ha anche lei il suo pezzo di verità, ma che non ha una posizione sostanzialmente diversa dagli altri nei confronti della Verità.” La ragazza gli ribatte: “Questo potrebbe andare bene se tu non credi alla Chiesa, ma un cattolico se è tale ci crede e per lui la Chiesa dice la Verità”.
Ho cercato di stimolare altre possibilità: “Qualcuno mi saprebbe trovare una via di mezzo tra queste due posizioni?”. Dalla prima file un altro ragazzo: “Potremmo pensare che la Chiesa sia uno dei ciechi che ha ritrovato la vista e prova a dire agli altri che cosa sia davvero l’elefante”. Poi un’altra ragazza a seguire dice: “E se pensassimo la Chiesa come uno di quei ciechi, che però ha potuto toccare tutto intero l’elefante? E’ vero che il re non lo permette, nella storia, ma se fosse possibile…”. Il primo ragazzo allora ribatte: “Beh, allora si farebbe prima a pensare che la Chiesa è la semplice somma dei ciechi del racconto, che cercano con fatica di mettere insieme i pezzi delle loro piccole verità”.
Alla fine sono intervenuto: “Vi devo fare i miei complimenti per le possibili risposte. Per come la vedo io ho l’impressione che la Chiesa potrebbe davvero ricoprire quasi tutte queste possibilità, tranne forse due. Provo a spiegarmi.
Il criterio con cui un cattolico deve intendere se stesso in rapporto alla verità è dato da Cristo e dal suo Vangelo. Se vuole essere fedele a questo difficilmente potrà ammettere di avere già chiara e dispiegata tutta la verità intera. Tanto che Cristo stesso, nel Vangelo, lascia delle domande senza risposte e dice che sarà lo Spirito a condurre alla verità tutta intera, lasciando un termine temporale indefinito su quando questa azione dello Spirito sarà conclusa. Non a caso la Chiesa continua a definire dogmi nel corso della sua storia e non ha tutta la verità già dispiegata fin dall’inizio.
Ma è altrettanto vero che, per lo stesso motivo, un cattolico non può qualificare se stesso come uno dei tanti ciechi, esattamente alla pari di loro. Perché lui crede di sapere dove sta di casa la verità, pur non possedendola tutta. E anzi, sa che è lei a possedere lui e non viceversa. Perciò mi sembra più facile avvicinare l’idea del cattolico, alle altre tre possibilità che avete offerto.
La Chiesa infatti sa di avere ricevuto in dono la vista della Verità, ma è un dono che si realizza solo quando essa accetta di mettersi nei panni dei vari ciechi e così poter fare esperienza dell’elefante “intero”. E attraverso questo stesso movimento potrà sostenere lo sforzo dei vari ciechi di ritrovare insieme una immagine complessiva dell’elefante, senza ammazzarsi tra di loro”.
“Sacramento universale di salvezza e di unità di tutto il genere umano”. (Lumen Gentium)
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