Premessa: questo articolo è stato scritto prima dell’ultima misura presa dal governo, con la sospensione delle attività didattiche anche a Roma, la mia città.
Entro in classe e mi pervade un profumo di disinfettanti. La classe è pulita, la cattedra non presenta la solita polvere, i banchi finalmente tirati a lucido – nonostante la loro veneranda età – vivono una seconda giovinezza.
Gli addetti alle pulizie, dotati di una scorta mai vista prima di flaconi di disinfettante, si aggirano tra i banchi come astronauti sulla Luna. È questo l’effetto Coronavirus che ha smosso una serie di iniziative a tutela della salute pubblica.
Mi aspettavo che prima o poi arrivasse una domanda su questo fenomeno che, in queste settimane, sta toccando tutti. È Alessandro, 7 anni, che con particolare cura nel formulare la domanda mi chiede: “Maestro, qual è il senso dell’esistenza dei virus?”. Non come si diffondono, da dove vengono o come si combattono, piuttosto qual è il loro senso. Una domanda davvero interessante che in un primo momento mi ha messo in difficoltà.
Un altro bambino di nome Lorenzo replica al suo compagno dicendo che il famoso Coronavirus è stato creato in laboratorio, che è opera dell’uomo e che è stato diffuso appositamente da qualcuno per creare scompiglio tra le persone! Non immaginavo che i bambini a questa età avessero tante competenze in materie scientifiche. Ne è nato un dibattito tra piccoli scienziati molto divertente.
Per rispondere all’impegnativa domanda di Alessandro è necessario guardare agli atteggiamenti che l’uomo ha posto in essere davanti a questo insolito fenomeno. Non siamo abituati alle epidemie, siamo più avvezzi invece a discriminare dando una collocazione geografica a tutto ciò che accade intorno a noi. Fin da subito c’è stata una discriminazione nei confronti dei cinesi: nei nostri cellulari e sui social sono arrivati audio, video e immagini ironici sugli orientali con la tosse e il raffreddore. Se da un lato il tentativo di sdrammatizzare poteva risultare simpatico, dall’altro tristi e ingiustificate sono state le manifestazioni di intolleranza e diffidenza verificatesi in seguito nei confronti dei cinesi che vivono da anni nel nostro Paese.
Il Coronavirus ha avuto una precisa collocazione e una carta di identità. Lentamente e inevitabilmente è arrivato in Europa e si sta diffondendo un po’ ovunque, così ora il pericolo non è più il cinese sull’autobus quanto un virus capace di far cadere le nostre certezze e minare le nostre abitudini. Si svuotano i supermercati, si cercano disinfettanti e mascherine come fossero il pane quotidiano, annulliamo concerti, spettacoli, fintanto il campionato di calcio, che non si fermerebbe nemmeno per una guerra, è costretto a prendersi una pausa. Dilaga la paura nei confronti del prossimo, dell’uomo seduto accanto a noi nel bar, di quello alla fermata dell’autobus che starnutisce, del vicino di casa che accusa qualche linea di febbre, fenomeno normale in questo periodo dell’anno.
Il virus spaventa come quel lupo che terrorizzava e minacciava gli abitanti di Gubbio al tempo di San Francesco. Nei “Fioretti” di San Francesco c’è una frase significativa in merito: “Ed essendo ivi bene raunato tutto ’l popolo, levasi su santo Francesco e predica loro, dicendo, tra l’altre cose, come per li peccati Iddio permette cotali cose e pestilenze, e troppo è più pericolosa la fiamma dello inferno, la quale ci ha a durare eternalemente alli dannati, che non è la rabbia dello lupo il quale non può uccidere se non il corpo: «quanto è dunque da temere la bocca dello inferno, quando tanta moltitudine tiene in paura e in tremore la bocca d’un piccolo animale. Tornate dunque, carissimi, a Dio e fate degna penitenza de’vostri peccati, e Iddio vi libererà del lupo nel presente e nel futuro dal fuoco infernale»”.
In realtà più che il lupo era l’inferno a fare paura agli abitanti di Gubbio. Le malattie ricordano all’uomo la sua fragilità; sarà necessario – così scrive san Francesco – un semplice e sincero atto di fede e di speranza per chiedere a Dio protezione e salute.
Il Coronavirus in piena quaresima sembra proprio manifestarsi come il lupo di Gubbio che minaccioso arriva in città, facendo cadere le nostre certezze, creando diffidenza, paura e ansia.
Attraverso il Coronavirus forse avremo occasione di riflettere su aspetti importanti del nostro quotidiano, impareremo alcune cose. Innanzitutto resterà il concetto che dovremmo essere più puliti e attenti all’igiene; sembra paradossale che gli esperti, come primo atteggiamento utile per combattere il virus, ci ricordino che dobbiamo lavarci le mani di frequenta. Che scoperta!
L’isolamento, lo stare rintanati nelle proprie case, ci permetterà magari in futuro di riscoprire e valorizzare il bello dei gesti semplici, normali, come prendere un caffè al bar, uscire di casa, stare all’aria aperta e mangiare una pizza al ristorante con gli amici, quando sarà di nuovo possibile. Chissà, magari il Coronavirus ci spingerà anche a volerci più bene.
Il senso del Coronavirus, così come quello di tutte le malattie, è riassunto in questi pochi pensieri. La domanda di Alessandro ci riporta così a vedere l’aspetto umano anche davanti ad un fenomeno così complesso che ci auguriamo possa scemare al più presto. Nel frattempo però sarà bello lavarci di più le mani e abbassare le mascherine per tornare a vedere il sorriso di chi ci sta vicino.
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