“Creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili e invisibili…”. Sono queste le parole del “Credo” che abbiamo letto e analizzato nelle pagine del libro di religione con i miei alunni.
Dio crea tutte le cose, visibili e invisibili. Interviene Filippo, 10 anni, con una osservazione che mi prende in contropiede: “Allora se ha creato le cose invisibili vuol dire che ha creato anche la felicità, perché la felicità è invisibile”.
Inevitabile fermarsi davanti alle domande dei bambini; la loro capacità di arrivare all’essenziale in pochi istanti è straordinaria. Ho guardato Filippo come si guarda chi è stato in grado di metterti con le spalle al muro. La felicità è invisibile?
Effettivamente il mio alunno ha ragione; tra le cose invisibili pensavo al vento, all’aria, ai gas, alla luce o ai microrganismi che si vedono solo con il microscopio. La mia mente andava a tutto ciò che alla vista è invisibile. Filippo invece ha pensato a ciò che possiamo sperimentare pur non vedendolo concretamente. Non il dolore fisico o morale ma la felicità. Le domande sulla felicità risalgono alla notte dei tempi, oggetto di indagine di poeti, scrittori, filosofi, teologi, musicisti e non solo, tutta la gente comune si è interrogata sulla felicità.
Non esiste la felicità solitaria
Per un momento ho provato a tornare bambino, come Filippo; mi sono chiesto quali momenti della mia infanzia possa catalogare tra quelli “felici”. Ho ripensato ad alcuni episodi che hanno lasciato un segno nella mia memoria: la domenica mattina con mio padre trascorsa a vedere i cavalli o a comprare il cocomero, a mia madre che stendeva le tagliatelle sul pianale di legno, un sapore così non l’ho mai più sentito. E ancora: i calci al pallone con alcuni amici, i bizzarri travestimenti di mio zio, il chiasso e le risate nella mia numerosa e rumorosa famiglia. Ciò che ricordiamo come felicità è ciò che ha lasciato un segno.
Nei miei ricordi di bambino non c’è mai una felicità solitaria. Sarà lo stesso anche per il tempo che sto vivendo e che vivrò: la felicità timbra sempre il cartellino in compagnia. Ci sono persone con cui ho condiviso momenti felici di vita. Non esiste una felicità individuale, l’affetto e l’amore verso gli altri sono alla base del nostro vivere quotidiano.
La felicità può essere visibile negli occhi di chi la prova. Penso ai bambini molto piccoli: i loro occhi brillano di luce nel sorridere ai genitori. È quella la felicità, quasi a volerci ricordare che dura un attimo. È fugace e fuggiasca, mai irraggiungibile.
Oggi i bambini e i giovani confondono il successo con la felicità. Per loro sono felici i personaggi televisivi, i calciatori, i cantanti; è comprensibile che alla loro età si soffermino al mondo dell’apparire. La nostra società del resto è basata sul segno, sulla visibilità, l’immagine è parte essenziale del nostro essere.
Attraverso gli occhi osserviamo, ammiriamo, desideriamo. Dinanzi ad un tramonto la vita sembra più leggera e la felicità più accessibile.
Filippo, saggiamente, nella sua osservazione è andato oltre l’immagine, definendo invisibile la felicità. La misura della felicità è indicata da Gesù nelle beatitudini. Una strada maestra che ha poco di visibile: sono beati, e quindi felici, coloro che non hanno nulla di materiale al cospetto di un tesoro nel cuore: la mitezza, l’umiltà, la purezza dello spirito, sono alcune delle virtù che rendono l’uomo beato.
Da bambino questa misura mi fu indicata dal mio anziano parroco, don Cesare, con una giaculatoria rimasta viva nel mio cuore e nella mia mente a distanza di anni: “Essere buoni per essere felici”. Chiaro segno che la felicità è impressa e ben visibile sul viso delle anime belle, che fanno brillare se stesse riflettendo il bene nei volti degli altri.
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