Al Natale del 2021 e alla ripresa delle lezioni siamo arrivati purtroppo più o meno nelle stesse condizioni dello scorso anno, con le mascherine che coprono il sorriso di tutti noi a partire da quello dei bambini, con la minaccia del Covid sempre viva che costringe tutti ad un distanziamento che inizia a fare male per davvero. A scuola non ci è concesso di essere una comunità, fare quello che abbiamo sempre fatto: cantare, ballare, muoverci, suonare, invitare i genitori. Questi ultimi ormai sono diventati come dei personaggi televisivi, visibili solo da un monitor.
L’evento della nascita di Gesù ha diviso la storia in due: il tempo “avanti Cristo” e “dopo Cristo”. Trovo un’analogia con l’esperienza che stiamo vivendo: “prima della pandemia” e “dopo la pandemia” sono diventate espressioni purtroppo comuni nel nostro linguaggio. Inevitabilmente le nostre vite hanno vissuto una spaccatura, trovandoci in un tempo sospeso di cui ancora facciamo fatica a vedere la luce.
Eppure nel tempo del Natale ci sono delle luci: la stella che guida i magi illumina l’oscurità della notte e il buio che è dentro di noi. Nella lotta al Covid – la grande sfida del nostro tempo – la luce è rappresentata dai vaccini che aiutano a salvare tante vite. La fede e la scienza si trovano ancora una volta in dialogo e percorrono la stessa strada in soccorso dell’uomo: una vuole salvare l’anima, l’altra vuole proteggere la vita delle persone.
Anche al tempo di Gesù c’era chi predicava una cultura di morte e distruzione: in Erode vediamo la crudeltà più spietata, culminata nella strage degli innocenti. Non mancano purtroppo esempi che vanno in questo senso nel panorama attuale e sono sotto gli occhi di tutti.
Il Natale nasce in uno scenario di guerra: il popolo romano indice un censimento al popolo invaso. In migliaia si mettono in viaggio per raggiungere il luogo natio. Tra questi ci sono anche Maria e Giuseppe che si mettono in viaggio. Su di un asino? Un cammello? Poco importa, sicuramente hanno vissuto l’esperienza dei profughi in cerca di un rifugio. Hanno abbandonato la loro terra una seconda volta per sfuggire ancora una volta all’ira di Erode fuggendo in Egitto. La Santa Famiglia di Nazaret era una famiglia di profughi.
Non c’è molta differenza dalle immagini che vediamo in televisione, che testimonia la gente disperata nel confine tra Polonia e Bielorussia, dai migranti che in preda alla disperazione arrivano dal mare sui barconi, dai bambini di Lesbo abbracciati da Papa Francesco. Anch’essi non trovano un riparo, una casa capace di accoglierli nell’Europa cristiana.
L’attenzione di quella notte è rivolta alla mangiatoia: era questo il segno per i pastori che trovano un bambino nato vicino al mondo della gente semplice.
Davanti allo stesso scenario si ritrovano i misteriosi Magi: erano re? Sapienti? Astronomi? Regnanti essi stessi? Non lo sappiamo, li vediamo nei loro abiti sfarzosi davanti alla grotta di Betlemme adorare un Bambino. Si saranno domandati mentre viaggiavano cosa stessero cercando, chi pensavano di trovare, forse un re, un principe, un magnate. Nel loro viaggio i Magi avevano le nostre stesse inquietudini e domande. I tempi non sono poi così cambiati.
Quest’anno nel mio presepe ho pensato di ridurre un po’ la scenografia. La Sacra Famiglia non ha una capanna, né una grotta. Si trovano al centro di una luce che parte proprio dal Bambino Gesù nella speranza che possa illuminare coloro che con fede si avvicinano per adorarlo, a partire dal sottoscritto. Una luce talmente forte che vorrebbe arrivare anche ai più increduli e lontani, che possa scaldare i cuori di coloro che non si amano. Una luce capace di illuminare gli scienziati, i poeti, gli artisti, gli uomini di buona volontà che si impegnano per combattere il distanziamento sociale e quello delle anime.
A Natale sono arrivato un po’ meno scanzonato del solito ma con gli occhi pieni di speranza. I bambini mi danno gioia, sempre; figuriamoci se può essere diversamente per il Bambinello abbiamo messo nel presepe. Del resto ogni bambino è un Bambinello.
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