In classe abbiamo letto un passo del Vangelo capace di stimolare diverse riflessioni.
Un uomo nobile chiede a Gesù cosa deve fare per avere la vita eterna. La risposta di Gesù è secca:
Una cosa ti manca ancora: vendi tutto quello che hai, e distribuiscilo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi
Lc 18,22
Quell’uomo, troppo legato alle sue ricchezze, se ne va rattristato. In questa occasione Gesù è stato perentorio e drastico nei confronti della ricchezza: «è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio» (Lc 18,25).
Sul libro di testo troviamo scritto che quell’uomo era schiavo delle sue ricchezze. Riflettiamo insieme sulla parola “schiavo”. Una bambina mi chiede: “Maestro, esistono ancora gli schiavi?”.
È una domanda aperta a cui possiamo offrire diverse risposte. La schiavitù, intesa come compravendita di esseri umani destinati ai lavori forzati, è stata un triste fenomeno che ha caratterizzato tutte le epoche della storia dell’uomo. Contrastata nel tempo dalla Chiesa, solo nel 1949 con la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” si pone ufficialmente fine allo schiavismo. Purtroppo tale dichiarazione non ha arrestato questo fenomeno che perdura tutt’oggi in vie clandestine. Sfruttamento del lavoro e prostituzione sono solo alcune delle forme di schiavitù che assume un carattere ancora più drammatico quando ad esserne coinvolti sono i minori.
Siamo esposti tutt’oggi a nuove forme di schiavitù, più subdole, che entrano nel nostro vivere quotidiano senza averne una reale consapevolezza.
Mentre con gli alunni parlavo di questo, il mio sguardo è andato al cellulare posato sulla cattedra. Mi sono tornate in mente le parole di un caro amico, il quale vive in campagna, senza telefonino, senza computer, a malapena vede la televisione. Un giorno mi trovai in casa sua e il mio cellulare non aveva campo. Fui costretto a spostarmi di qualche metro rispetto alla posizione in cui ci trovavamo per cercare il segnale. Mi disse: “Vedi, la tecnologia ti sta spostando, è lei la mano che ti conduce”. Rimasi sorpreso da questa frase; il mio era un gesto spontaneo che facciamo un po’ tutti in situazioni simili. Avevo al polso una catena immaginaria che condizionava i miei movimenti.
La stessa situazione si è ripresentata la scorsa estate. Nella casa delle vacanze in cui mi trovavo, il cellulare aveva una pessima ricezione e così per scrivere un messaggio o navigare su internet ero costretto a salire sul tetto! Non vi nascondo che, in certi momenti, mi sono sentito ridicolo.
Ogni mattina osservo dei ragazzi adolescenti che aspettano di entrare a scuola; ognuno con il capo chino su uno schermo, nessuna comunicazione tra di essi. Il rischio è proprio questo, di diventare schiavi di questi mezzi che anziché agevolare il dialogo tra gli uomini rischiano di isolarli sempre di più. La tecnologia ha tolto a questi ragazzi, e sempre più anche agli adulti, le occasioni per parlare: non è una schiavitù anch’essa?
La pubblicità a cui siamo esposti crea falsi bisogni, che influenzano in modo particolare bambini ed adolescenti. Siamo invasi da banner pubblicitari, messaggi sul cellulare che si aggiungono alle forme tradizionali di promozione attraverso radio, televisione o cartellonistica stradale. Veniamo sollecitati a cambiare le nostre automobili o i cellulari per acquistarne di nuovi, sempre più accattivanti e moderni anche quando non ne abbiamo un reale bisogno.
Potremmo parlare di nuove dipendenze che si aggiungono alle più tradizionali come l’alcool o la droga. Sono più pulite, accessibili a tutti, non meno pericolose. Tra queste, oltre alla dipendenza da internet, c’è anche quella dai videogiochi, dalla pornografia online, dal gioco d’azzardo, dallo shopping compulsivo fino ad arrivare a quello stato di ritiro sociale che i giapponesi hanno definito con il termine Hikikomori.
Per tornare alla domanda della mia alunna è necessario pensare all’uomo ricco del Vangelo, troppo legato alle sue ricchezze, servo del suo stesso denaro. Il suo andare via triste è un segnale chiaro anche ai nostri giorni e vale sia per gli adulti quanto per i bambini. Non abbiamo finito di rompere le catene da ciò che ci rende schiavi e dipendenti.
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