Scuole chiuse, aule vuote, alunni e docenti a casa. Il silenzio che avvolge le nostre aule è lo stesso che attanaglia le strade dei luoghi in cui viviamo, dai paesi alle grandi città.
Eravamo abituati ai nostri ritmi, ad uscire, ad incontrare persone, a svolgere le nostre abituali attività. Già, abituali. Ricordo che mercoledì 4 marzo, giorno in cui è stata decretata un’iniziale chiusura di tutte le scuole d’Italia, lungo il tragitto mattutino che mi portava a scuola formulai un pensiero che, con il senno del poi, è diventato un triste presagio: quanto è bella la “sana quotidianità”. È un pensiero che faccio spesso perché credo che la quotidianità sia uno stato di benessere, quello stato in cui non ci sono impedimenti, dove tutto scorre come dovrebbe e come vorremmo e ci apprestiamo a prendere la vita così come viene, con i suoi imprevisti e le sue emozioni.
Ora le scuole sono chiuse e, all’improvviso, studenti e docenti si trovano nelle loro case con un lungo tempo da impegnare che sembra infinito. Un tempo che ci ha colti impreparati, ci ha preso alla sprovvista. E così: cosa fare? Come ci attrezziamo? Cosa faranno i nostri alunni? Cosa potremmo proporre loro? E soprattutto: come?
Ci siamo ritrovati tutti, io per primo, davanti ad un momento di smarrimento. Si sovraccaricano le chat dei docenti, dei genitori così come quelle degli studenti. Se è vero che una persona su due ogni giorno ha a che fare, direttamente o indirettamente, con il mondo della scuola ecco che all’improvviso questa nuova realtà del restare a casa raccoglie le domande e le riflessioni di tutti.
Si è iniziato a parlare di “didattica a distanza”. La trovo un’espressione già nefasta di per sé perché la didattica non può essere a distanza; a scuola si abbattono le distanze, gli insegnanti si avvicinano agli alunni, li ascoltano, pongono loro domande e accolgono riflessioni e sfoghi, cogliendo anche quelle emozioni tipiche di ogni età della vita.
È in momenti come questo che ci accorgiamo di quanto possa mancare a studenti e docenti l’aula scolastica. Quel luogo chiassoso e pieno di vita, in cui si forma la cultura dei nostri giovani; a scuola si insegnano materie interessanti, altre meno, ma quanto può essere bello stare insieme e apprendere. Ma si sa, ci accorgiamo del bello proprio quando viene meno.
Inevitabilmente la tecnologia ci è venuta in soccorso e così la didattica oltre che essere a distanza è diventata “digitale”. Un bel salto, improvviso, pindarico, oserei dire spericolato per quei docenti – purtroppo ancora molti – che non hanno dimestichezza né competenze minime di informatica. Non si tratta di essere programmatori informatici ma di saper usare almeno i programmi base ed aver investito qualche ora della propria vita al computer.
È entrata in gioco una componente interessante del lavoro del docente, ovvero la capacità di mettere alla prova la propria creatività didattica. In questi giorni sto osservando un mondo a me inesplorato e devo dire che ci sono iniziative interessanti: video lezioni, giochi, power point, schede tradizionali e quant’altro. In alcuni casi gli esperimenti sono ben riusciti, in altri si capisce che siamo ancora alle “prove tecniche di trasmissione”, altre iniziative invece sono un po’ discutibili soprattutto perché non manca un po’ di esibizionismo.
Certo è che ai docenti è stato richiesto, e a volte preteso, un cambiamento improvviso. Come spesso ho avuto modo di constatare, nella scuola ogni processo di innovazione viene assorbito molto lentamente perché gli insegnanti hanno scolpito nel cuore il rassicurante quanto pericoloso detto “facciamo come abbiamo fatto l’anno scorso”. In questa inedita situazione però bisogna avere comprensione: come non si può chiedere ad un cavallo di correre come un ghepardo, così non possiamo pretendere che tutti i docenti possano all’improvviso applicare una didattica alternativa e innovativa a quella tradizionale.
Una volta superata l’emergenza spero che il mondo della scuola rifletta su questo aspetto. È necessario un rinnovamento delle infrastrutture, corsi di aggiornamento specifici che possano formare i docenti per il nuovo modo di lavorare. Molti istituti si sono trovati spaesati davanti a tante novità. Servirà soprattutto un cambio di rotta da parte dei docenti i quali dovranno prendere consapevolezza che oltre alla classica – e pur sempre affascinante – lezione frontale con libri e quaderni, il sapere può essere trasmesso ai nostri alunni con mezzi a loro più vicini. Lo scollamento tra i nativi digitali e gli analfabeti informatici è intollerabile soprattutto nel mondo della scuola.
La speranza è di tornare quanto prima ad incontrare dal vivo i nostri alunni. Ci perderemo in un lungo abbraccio nell’attesa che tornino le domande, le osservazioni e le aule piene di vita.
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