La domanda, postami più volte in classi diverse, arriva sempre diretta e inevitabilmente anche stavolta ha fatto nascere un confronto con i bambini e una riflessione personale.
Le notizie entrano nelle case attraverso la televisione e la terminologia usata dai mezzi di informazione è incalzante. I bambini recepiscono parte di questo linguaggio e lo faranno proprio: non è un caso – ricordando un fatto recente – che dopo la manifestazione del “movimento delle sardine” a Roma, l’indomani mattina in una classe quinta venne pronunciata, ripetutamente, la parola “sardina”, termine insolito durante le mie lezioni.
Rispondere a questa domanda non è stato facile, anche perché non sono ferrato in ambito di politica internazionale; generalmente mi limito a seguire le notizie e a leggere articoli su quanto accade nel mondo.
I bambini si preoccupano davanti agli scenari di una possibile terza guerra mondiale e non sanno che nel mondo ci sono ben trentasei guerre attive e decine di situazioni di crisi. Guerre spesso dimenticate dai mass media, di cui non si parla ma dove si mietono quotidianamente vittime.
Come rispondere allora alle domande dei bambini su argomenti di cronaca?
Ho cercato di rassicurare i miei alunni sul rischio di una terza guerra mondiale. In questo senso si apre inevitabilmente anche una sfida educativa: la visione di un telegiornale durante la cena con la famiglia riunita, bambini compresi, ha bisogno di un filtro da parte degli adulti perché i nostri figli non hanno i mezzi adeguati per interpretare il senso queste notizie. La televisione utilizza un linguaggio forte, le immagini violente trasmesse dai notiziari non tengono conto di un pubblico di minori. L’equilibrio tra la verità della cronaca e i contenuti da trasmettere è sempre delicato e anche piuttosto dibattuto in ambito giornalistico.
La pace e la gioia
La domanda però ci ha dato la possibilità di andare oltre il tema della guerra. Nessuno dei presenti – me compreso – ha esperienze in merito. Fortunatamente non conosciamo la realtà della guerra da vicino, l’ultima che il nostro Paese ha vissuto risale a ottanta anni fa, un tempo relativamente lontano. Questo non vuol dire però che viviamo in pace.
Ricordo le parole che Papa Francesco rivolse ai bambini in occasione di un incontro nella Sala Nervi l’11 maggio 2015, incontro al quale partecipai con alcuni alunni della mia scuola. In quell’occasione il Papa lanciò un messaggio molto forte, definendo la pace “un prodotto artigianale” che possiamo e dobbiamo costruire tutti insieme. “La pace è prima di tutto che non ci siano le guerre, ma anche che ci sia la gioia, l’amicizia tra tutti, che ogni giorno si faccia un passo avanti verso la giustizia. Perché non ci siano bambini affamati, perché non ci siano bambini malati che non hanno la possibilità di essere aiutati nella salute. Fare tutto questo vuol dire fare la pace. Non è stare tranquilli, ma lavorare perché tutti abbiano la soluzione per propri bisogni. Così si fa la pace, artigianale!”.
In quel discorso Papa Francesco partì da esempi molto concreti, come la risoluzione di piccoli litigi, imparare a saper chiedere scusa, non vendicarsi per le offese subite, non giudicare gli altri sentendosi superiori, fino a toccare lo scottante tema della produzione e del traffico delle armi.
I bambini ascoltano e poi interrogano gli adulti che devono sapere cogliere le loro curiosità e trasformarle in argomenti di discussione e stimoli per un’educazione civile che trasmetta i sani valori della pace e della convivenza civile. Non possiamo fermare gli aerei militari che infuocano con missili e bombe il medio oriente, però possiamo costruire la pace con l’impegno di tutti partendo dalle realtà più vicine come la famiglia, il gruppo di amici, il condominio, la parrocchia.
Ai bambini non dobbiamo dare solo il benessere, dobbiamo restituire loro il sogno di un mondo dove la pace è possibile con l’impegno di tutti. Sarebbe bello credere nella realizzazione di una “rivoluzione di pace mondiale” e non di guerre. Utopia? Forse. Partiamo dai più piccoli, gli unici veramente pronti a credere nell’amore.
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