«Maestro, quanto è grande il coronavirus?». La domanda del momento mi è stata posta da un’alunna durante una video lezione. Ciò che mi ha fatto riflettere è l’oggetto del suo interesse, la dimensione del Coronavirus: quanto è grande?
Non essendo un esperto in materia mi sono documentato: su Wikipedia leggo che le dimensioni di questo virus variano dai 26 ai 32 kilobasi. Capirai che scoperta! Pare sia addirittura una misura estremamente grande per un virus. Non ho mai sentito parlare di kilobasi, credo che esistano perché ce lo dice la scienza; il microscopio permette di vedere ciò che sfugge ai nostri occhi. Nonostante la sua aggressività, il virus agisce come un normale essere vivente, vuole sopravvivere, è attaccato alla vita.
Ha addirittura un nome beffardo: Coronavirus deriva dal termine latino “corona”, a sua volta derivato dal greco κορώνη (korṓnē, “ghirlanda”), che significa “corona” o “aureola”. Un virus con l’aureola? A me non sembra proprio!
La mia alunna è stata molto precisa nella domanda: non mi ha chiesto quanto sia piccolo il virus, piuttosto quanto sia grande. Nella nostra immaginazione il pericolo deve essere necessariamente imponente. “Non litigare con quelli più grandi di te”, “quello è bello grosso, meglio non discuterci” sono frasi che tutti abbiamo detto o ascoltato almeno una volta. La forza è identificata nella grandezza. Ripenso ai cartoni animati giapponesi della mia infanzia dove il mondo era sempre sotto la minaccia di mostri terribili; Mazinga o Jeeg Robot erano gli eroi sempre pronti a salvare l’umanità. Spesso sembravano battaglie impari come quella biblica tra Davide e Golia, quest’ultimo decisamente più pericoloso non solo per esperienza ma anche per l’altezza rispetto al giovane pastore, figlio di Iesse.
Il Coronavirus invece è un nemico terribile perché invisibile, ci attacca senza farsi vedere, colpisce le nostre vie respiratorie e sta mettendo in pericolo tutta l’umanità. Rende il nostro vicino pericoloso e può essere drammaticamente trasmesso a un nostro caro.
Chi di noi – nel terzo millennio – avrebbe ipotizzato un disastro di tali dimensioni? Una pandemia era impensabile. L’Italia sta pagando un prezzo altissimo per il numero di decessi, l’economia sta subendo un gravissimo colpo, nella migliore delle ipotesi siamo serrati in casa in buona salute da più di un mese.
Questo virus invisibile ci ha permesso di assistere a qualcosa che sta cambiando gli scenari a cui eravamo abituati e in qualche modo anestetizzati.
La prima a riconquistare il proprio posto è stata la natura. A Venezia le acque sono tornate limpide, i delfini fanno acrobazie nel porto di Cagliari, nelle nostre città si può ascoltare il canto degli uccelli, fintanto le anatre girano indisturbate per le vie di Roma. Torneranno le lucciole a Roma, come cantava Jovanotti? Ciò che l’uomo ha tentato di sopprimere – come fa il Coronavirus in questo momento nei nostri confronti – sta riconquistando il suo spazio. È un segnale che dobbiamo cogliere perché alla fine della pandemia ci sarà riconsegnato un ambiente più pulito, è un’opportunità da non lasciarsi sfuggire.
Questo virus invisibile ha fatto crollare le nostre certezze, facendoci riscoprire un valore importante: la solidarietà. Isolarsi in casa è un gesto che – paradossalmente – ci avvicina agli altri, perché se ognuno rispetta le giuste distanze che ci vengono imposte possiamo salvarci reciprocamente. E così ci siamo resi conto che quanto normalmente è sotto i nostri occhi ha un valore prezioso, come i tanti medici e operatori sanitari che offrono un servizio che va al di là delle ricompense e gratificazioni economiche, rischiando la salute e spesso la vita. Sono i buoni samaritani del nostro tempo.
Questo virus invisibile ha trasformato le nostre case. Le mura domestiche sono diventate aule scolastiche, palestre, forni, pizzerie, uffici, fintanto templi. Sì, nelle nostre case molti hanno ricominciato a pregare: la Messa entra in casa, la panca è il divano, la tv è l’altare a cui rivolgere lo sguardo. La casa è il centro delle nostre attuali giornate, ne avremo una visione nuova una volta tornati a quello stato che molti chiamano “normalità”, e che io amo definire la santa normalità.
Questo virus invisibile sta cambiando inevitabilmente le nostre vite. Non è un gigante da attaccare, possiamo solo proteggerci ridimensionando la nostra arroganza, consapevoli che bastano 32 kilobasi di un virus per scoprirci fragili e indifesi. Non ci sarà il grande Mazinga a proteggerci; toglieremo le mascherine dal viso solo quando avremo compreso che è necessario ricordare che siamo tutti fratelli e che “nessuno si salva da solo” come ci ha ricordato Papa Francesco.
Il virus è invisibile: il cuore dell’uomo però è infinito quando sa amare. Lasciatemi sperare, ancora una volta, che l’amore vincerà.
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