“Va a scuola per scaldare il banco”. Chi di noi non ha mai sentito dire questa frase riferita ad uno studente che frequenta le lezioni con scarso profitto.
I banchi della scuola sono il punto di partenza di ogni studente, il trampolino di lancio dal quale costruire il proprio futuro, per rimanere in tema direi un banco di prova delle proprie abilità e capacità. E di fatto ognuno di noi ne ha scaldato uno, con maggiore o minore profitto.
E cosa dire dei compagni di banco? Con alcuni di loro si costruiscono amicizie, si condividono momenti di studio e di chiacchiere, partecipando in prima persona ai successi così come agli insuccessi. Con affetto e riconoscenza ricordo con piacere tre compagni di banco dei tempi delle superiori, Mario, Daniele e Yuri: quante risate e quanti aiuti mi hanno offerto durante la mia avventura, è proprio il caso di dire, con la ragioneria. Il primo l’ho incontrato, dopo tanti anni, qualche tempo fa: inevitabile ricordare i momenti felici trascorsi insieme proprio tra i banchi di scuola.
I banchi sono fedeli alleati degli studenti. Proprio alcuni giorni fa, su uno di essi, ho trovato scritte a penna delle date. Dopo una breve ricerca, ho scoperto che qualche studente della scuola media aveva appuntato una breve biografia di Ungaretti. Più che farsi scaldare, il banco in questo caso ha contribuito ad arricchire il compito di uno studente con poca memoria. Vi dirò che io e i miei compagni facevamo anche di peggio.
I banchi migliori erano quelli verdi, ancora in uso nelle nostre scuole, con un buco ai lati e la striscia nera. Su quest’ultima scrivevamo con una matita dalla punta ben affilata tutti gli appunti da ricordare per il compito in classe; con uno speciale gioco di luci e riflessi riuscivamo così a vedere chiaramente quanto appuntato in precedenza. Purtroppo però accadde che, in occasione di una verifica la bidella, proprio quella mattina decise di pulire i banchi con l’alcool, evento raro durante l’anno scolastico, tra le ire e lo sconforto di noi ragazzi.
Tornando al banco verde in oggetto, spesso mi soffermo a spiegare ai miei alunni che quei banchi possono raccontarci come studiavano i bambini degli anni ’80. Innanzitutto le dimensioni dei banchi erano molto più piccole, perché noi non crescevamo con la velocità dei ragazzi di oggi, avevamo quaderni piccoli e non quadernoni, sul banco c’erano poi il sussidiario e un astuccio, anch’esso di modeste dimensioni. I buchi ai lati, di un diametro di circa 3 centimetri, invece, testimoniano chiaramente che quei banchi hanno a tutt’oggi almeno sessant’anni: infatti quello era lo spazio dedicato al calamaio! Quando ero piccolo c’erano, incassati in questi fori, dei bicchierini neri che servivano a contenere l’inchiostro, ormai scomparsi ovunque. I banchi avevano un piccolo, ma utile, sottobanco e soprattutto c’erano delle ali laterali di ferro con una base di legno. Queste ultime servivano per mettere la cartella, e non gli zaini di oggi che somigliano più a delle mini valigie da crociera. I bambini odierni faticano a credere che proprio lì dentro inserivamo delle cartelle piuttosto strette. Questi banchi hanno superato indenni diversi decenni e ancora oggi in molte scuole sono utilizzati: un mio collega – che insegna nella scuola che ha frequentato da bambino – ha ritrovato il suo banco utilizzato da bambino, che lui stesso dice di aver intagliato con un taglierino. Se sia verità o leggenda non lo sapremo mai, di fatto questi banchi sembrano indistruttibili.
Il banco, come il tavolo, è una base solida dove poter compiere molteplici azioni. Su di esso si può scrivere, apparecchiare per la merenda, prendere appunti, giocare, finanche addormentarsi. I banchi vivono il passare del tempo, non crescono con gli studenti ma si adattano alla fisicità di ognuno di essi. Ci sono i piccoli banchi per i bimbi dell’infanzia, quelli per la prima elementare e così via… ognuno sa essere un punto di accoglienza per chi debba trascorrerci qualche ora. Ancora oggi da maestro mi piace lasciare la cattedra e sedermi dietro al banco insieme ai miei alunni; da lì il mondo della scuola assume un’altra prospettiva, sembra tutto più poetico e più reale. Cambiare prospettiva è spesso un’azione saggia.
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