Sulla lavagna ho scritto diverse parole: accoglienza, tolleranza, razzismo, xenofobia, etnocentrismo, cultura, stereotipo, multiculturale, interculturale.
Insieme ai bambini mi sono soffermato su ognuna di esse per trovarne l’esatto significato sia sotto il profilo linguistico, sia per calarle nel contesto storico di una città come Roma. Il tempo a nostra disposizione è volato e i bambini hanno dimostrato di aver recepito tutti gli stimoli condividendo i punti di vista di ciascuno vissuto attraverso i loro occhi.
Alcune parole – quelle più utilizzate nel linguaggio comune – erano note, altre invece le hanno sentite per la prima volta. I termini che avevano un risvolto positivo come cultura, accoglienza e tolleranza hanno fornito molti spunti e indirizzato la riflessione verso un’unica conclusione: conoscerci reciprocamente è un valore e la presenza di più culture può rappresentare una risorsa nella società odierna.
Su questo punto i bambini non hanno avuto alcun dubbio, erano certi che per vivere bene e in pace è necessario uno scambio reciproco nel rispetto delle diversità. Abbiamo poi scoperto l’esatto significato della parola stereotipo. In alcuni casi gli stereotipi fanno sorridere, come nel caso dell’italiano che nell’immaginario collettivo viene associato alla pizza e al mandolino o al messicano che indossa il poncho, ha i baffi, il sombrero e magari suona la chitarra vicino ad un cactus! Gli stereotipi però possono anche dar vita a discriminazioni pericolose verso gruppi minoritari.
Sul razzismo ci siamo soffermati molto, è un’idea che i bambini respingono con fermezza. È stata interessante la domanda di Anita, una mia dolcissima alunna: “Maestro, ma se sappiamo che il razzismo è una brutta cosa, perché esiste?”.
L’innocenza e il cuore angelico della mia alunna mi hanno disorientato. Come sarebbe semplice il mondo se fosse vissuto con i loro occhi! E invece il razzismo resta ancora uno dei mali peggiori della nostra società: l’uomo, arrivato al terzo millennio, ancora pone l’attenzione sul colore della pelle, sulla nazione di provenienza.
La nostra società ha sostituito la parola “fratello” con straniero; la diversità fa paura soprattutto a chi non è aperto al dialogo, al confronto, alla conoscenza, a coloro che non credono che ogni relazione possa rappresentare una fonte di arricchimento. La Terra vista dall’universo non ha confini, se non quelli naturali come mari, fiumi, montagne; ci ha pensato l’uomo a inventare i confini geografici. Ma i confini ancor più profondi vivono nei cuori di tante persone che avvertono paura e diffidenza nei confronti degli altri, di coloro che reputano diversi. i
I confini più rigidi e tremendi di tutti sono quelli che tracciamo dentro di noi. Tra bello e brutto, presto e tardi, giusto e sbagliato. E appunto il terribile confine tra il possibile e l’impossibile, tra quel che vorremmo fare e quel che si può. E ci fermiamo lì, bloccati da una riga
Fabio Genovesi, Cadrò, sognando di volare
Ci lasciamo bloccare da confini che noi stessi abbiamo inventato. Assistiamo indifferenti alla sofferenza di molti uomini, soprattutto quando arrivano da terre lontane, affrontando il mare, scampando a pericoli, guerre e miserie di ogni tipo: dimentichiamo che sono persone e non stranieri, esseri umani e non immigrati.
I bambini sono la vera risorsa su cui investire per abbattere i muri. Quando frequentavo la scuola elementare i miei compagni erano tutti italiani, non c’erano bambini stranieri, difficilmente qualcuno poteva avere amici che provenivano da altri paesi del mondo. Oggi tra i banchi abbiamo una svariata rappresentanza di diverse nazionalità; il 30% dei miei alunni verrebbe definito “straniero” anche se alcuni di essi sono cittadini italiani già dalla seconda o terza generazione.
I “nuovi romani”, come simpaticamente li definisco, hanno le sembianze dei filippini, dei sudamericani o nordafricani. Qualche settimana fa al mercato ho visto due bambini, un maschio ed una femmina di circa 6 o 7 anni, accompagnati dalla mamma; apparentemente sembravano africani (somali o eritrei) ma il loro accento era degno di un trasteverino doc! Faceva un certo effetto sentire il mio dialetto pronunciato da persone che hanno fattezze diverse dalle mie.
In una società multietnica come la nostra è dai banchi di scuola che possiamo iniziare a vincere il razzismo; la politica e tutte le istituzioni dovrebbero andare in questa direzione anche se talvolta il cattivo esempio viene proprio da chi ci governa. Il razzismo nel nostro Paese non è neanche troppo velato.
Alla fine della mia lezione ho ringraziato i miei alunni per i pensieri e le parole che ho trovato ricche di speranza. Qualche giorno fa un bambino mi ha confidato che vorrebbe inventare una macchina che faccia tornare bambini gli adulti; sarebbe davvero un’invenzione geniale per recuperare quell’innocenza e quella purezza che solo loro hanno. Conserverò le parole dei miei alunni e ne farò tesoro. Come sempre.
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