Nell’esercizio quotidiano di ascoltare i bambini ecco arrivare da Nicole, otto anni, questa bellissima domanda: “Perché esistono i bambini?”.
La mia risposta di getto è stata tanto spontanea quanto sentita: per migliorare il mondo!
Vivo ogni giorno a stretto contatto con tanti bambini; tra i miei duecento alunni respiro un’aria viva e frizzante, il loro sguardo illumina le mie giornate. Come me amano ridere; in loro presenza emerge il mio lato più gioioso e il tempo insieme scorre lieto.
Dei bambini amo la spontaneità; non c’è un bambino uguale all’altro, ognuno è se stesso con le proprie peculiarità. Ascolto volentieri le loro riflessioni e i punti di vista; quante volte, in tali circostanze, da maestro divento alunno.
“I bambini esistono perché altrimenti non esisterebbero gli adulti”, ha ribattuto un compagno. In parte è vero.
Osservando il regno animale non esiste una corrispondenza tra l’età dell’infanzia dell’essere umano e la vita dei cuccioli. Una giraffa dopo pochi minuti dalla nascita sa camminare in autonomia, molti animali dopo un tempo relativamente breve rispetto alla loro vita sanno badare a se stessi. Nel mondo animale esiste la protezione della mamma per un brevissimo tempo, c’è la dimensione del gioco ma è immediato il desiderio di scoprire il proprio habitat naturale e ad imparare a procurarsi il cibo.
Nell’uomo non è così; un bambino ci mette un anno per imparare a camminare, circa diciotto mesi per iniziare a dire le prime parole, necessita del tempo per imparare a mangiare da solo e diventare autonomo. Aspetta sei anni per apprendere la lettura e la scrittura, solo intorno agli undici anni si avvia all’autonomia e all’indipendenza. In realtà neanche gli adulti diventano completamente autonomi, necessitano di un supporto costante nei vari ambiti di vita.
A seconda delle culture e delle società i tempi di crescita possono subire delle variazioni; questo è dovuto al fatto che l’uomo ha necessità di educare, termine che indica un “tirare fuori”, condurre l’individuo verso una totale autonomia e indipendenza. Purtroppo in più di un’occasione osservo bambini soffocati da genitori mai cresciuti che non permettono ai propri figli di aprire le ali e spiccare il volo.
I bambini esistono, per fortuna esistono. Gli adulti devono riscoprire sempre il bambino che c’è dentro se stessi. Tendiamo a dimenticare l’infanzia, i nostri primi anni di vita, cosa pensavamo e facevamo da piccoli. Forse anche per la mia vicinanza al mondo dei bambini e per il fatto di essere un “ricordatore seriale”, non dimentico il mondo in cui vivevo da bambino; aprendo gli occhi e confrontandomi con il mondo di oggi mi rendo conto che l’Andrea bambino a cavallo degli anni ’70 e ’80 oggi sarebbe un disadattato totale. Non regge il confronto con il tempo in cui viviamo; non so se in meglio o in peggio, di certo è che la mia infanzia era molto diversa da quella dei nostri figli.
Tornare bambino però vuol dire farsi piccoli. I bambini ci ricordano quanto è importante abbassarsi; per essere alla loro altezza l’uomo adulto deve chinarsi, farsi piccolo per incrociare i loro sguardi. È importante la postura: piegarsi, guardarli negli occhi, prenderli per mano. In questi ultimi due anni la pandemia ci sta togliendo un pezzo importante: i sorrisi dei nostri bambini, a volte simpaticamente sdentati, sinceri e raggianti.
Gesù, il Maestro più grande, li ha presi a modello: “A chi è come loro appartiene in regno di Dio […], chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso” (Mc 10, 14-15). Il paradiso è per coloro che vivono con la dolcezza, la bontà e la spontaneità dei bambini.
«Dagli occhi di un bambino decollano gli aeroplani. Se chiudesse gli occhi, cadrebbero. Solo lo stupore li mantiene sospesi», scriveva il poeta cubano Alexis Díaz Pimienta. Prendiamo spunto dal loro stupore, non dimentichiamoci di essere stati bambini e riscopriamo il candore di quegli anni.
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