Mirko frequenta la quarta primaria, ma quest’anno sembra in affanno rispetto alle sue capacità. Un giorno, dopo essere stato assente, mi confida di essere terzo nella classifica italiana dei cecchini di “Call of Duty”, un videogioco di guerra della categoria “sparatutto”. «Peccato che questo non ti servirà per il futuro» ironizzo io. Non sapevo ancora che in Italia ci sono persone che giocano ai videogiochi per mestiere percependo ognuno mensilmente quanto l’intero corpo docente del mio plesso.
Confrontandoci con le colleghe constatiamo che diversi nostri studenti giocano a Fortnite (il videogioco “sparatutto” più in voga del momento) e notiamo che sono gli stessi che hanno avuto un drastico calo scolastico a livello di attenzione, partecipazione e risultati. Coincidenza? Addirittura ci sorge il sospetto che qualcuno di loro finga di non stare bene per poter andare a casa e così giocare.
Sul portale di Aleteia, leggo un articolo di Paul De Maeyer , in cui si racconta che nel mondo sono in aumento le situazioni di dipendenza da Fortnite tra i bambini, coetanei dei miei studenti. Alcuni genitori sembrano più preoccupati del fatto che il gioco, sebbene sia inizialmente gratuito, incentivi i figli a scaricare gli accessori per i loro personaggi virtuali, tutti a pagamento, che vengono addebitati sulla carta di credito di papà o mamma. Infatti mensilmente la casa produttrice del game incassa circa 300 milioni di dollari per accessori virtuali, cioè pezzi di armatura colorati per personaggi digitali.
Numeri da record
Sviluppato dalla società Epic Games questo gioco conta oltre 400 milioni di giocatori nel mondo. Si gioca online dandosi appuntamento con gli amici o con sconosciuti (non solo bambini) che in quel momento sono connessi. Il formato più popolare prevede una Battle Royale dove 100 giocatori si danno battaglia per la sopravvivenza su un’isola. Si può giocare a Fortnite con Xbox One, PlayStation 4, computer Windows, Mac e iPhone. Vi sono inoltre numerose personalità in ambito sportivo e musicale che hanno dichiarato la loro passione per questo videogioco corredato di balletti e mossette che i bambini ripropongono entusiasti durante la ricreazione.
Rispetto ad altri giochi molto in voga come GTA, Fortnite sembra rassicurante: infatti, anche se è un gioco d’azione, non c’è scorrimento di sangue, non si parla di droga, né si mostrano scene di sesso. Ogni sessione di gioco dura normalmente meno di 20-25 minuti. Non si valuta bene la dipendenza che crea: dopo essere stati vicini alla vittoria, ci si sente quasi in obbligo a fare un’altra sessione di gioco. Risultato: non riesci a smettere di giocare, come con le slot machine nei casinò.
Altre opzioni del gioco prevedono una cooperazione tra i personaggi, ma, ad un’analisi più approfondita, appare inverosimile che attraverso questo gioco si possa imparare a collaborare. Infatti, la collaborazione nel mondo reale richiede ascolto, contatto visivo e capacità di comprendere cosa vogliono dire gli altri, mentre l’obiettivo di Fortnite è sterminare tutti e uccidere non è propriamente un’abilità sociale. Piuttosto il giocare in squadra vincola chi partecipa a non abbandonare il gioco per non deludere gli amici, creando una Peer pressure (cioè pressione tra pari o coetanei) che va oltre il classico “ci giocano tutti ed io non voglio essere da meno”.
Anche la parte grafica risulta particolarmente curata: vi sono immagini brillanti ed accattivanti che attirano le giovani generazioni. Inoltre non si può non ricordare che questi videogiochi inducano una dipendenza dopaminergica: nei giocatori avviene una stimolazione, come quella prodotta dalla dopamina, noto anche come ‘l’ormone della ricompensa’”. Il circuito di ricompensa, volendo semplificare, funziona attraverso la messa in circolo di un neuromediatore chiamato dopamina, che viene rilasciato ogni qual volta proviamo gratificazione. È lo stesso effetto che nasce nei giocatori di azzardo o in chi abusa di droghe tanto che può giustificare, nei casi più estremi, sintomi di astinenza o di cambio di personalità.
Rispondere con l’educazione
Dopo aver approfondito le caratteristiche di questi giochi tanto ricercati dai nostri ragazzi, mi domando se e come sia possibile sfruttare i loro punti di forza per un’azione didattica più efficace.
Il percorso educativo che noi insegnanti proponiamo ha come punti salienti la gioia di scoprire, il gusto di conoscere, l’avventura del capire e non dobbiamo permettere che i nostri bambini prediligano a tutto ciò una strage di zombie in uno scenario apocalittico. Insegniamo a leggere, scrivere, far di conto, il pensiero computazionale, le arti, la storia e mille altre discipline credendo che queste servano loro per costruirsi una vita reale e felice, eppure per alcuni dei nostri bambini questi insegnamenti rimangono concetti astratti, virtuali e, purtroppo, talvolta meno attraenti di tanti giochi virtuali.
In questa contrapposizione tra ciò che è reale, ma sembra virtuale e ciò che invece è meramente digitale, ma influenza la realtà, non posso non chiedermi se i miei studenti vivano realmente la loro quotidianità scolastica, oppure se per loro è solo un vivere tutto passivamente lasciando trascorrere il tempo.
Quanto tutto ciò che insegniamo interroga la loro libertà, consapevolezza, responsabilità, la loro chiamata ad essere felici?
I bambini si sentono coinvolti dalla Battle Royale; mentre, a scuola, dice Daniela Lucangeli, sperimentano un malessere dovuto ad un “ingozzamento cognitivo”. Tale “ingozzamento” si verifica quando non c’è un equilibrio tra la quantità di informazioni percepite e quelle espresse. Può accadere quindi che il bambino non si senta protagonista nell’azione, dal momento che gli viene chiesto di ascoltare, senza che gli venga concesso di esprimersi. Pertanto il suo cervello assocerà emozioni e sentimenti negativi a quel contenuto e a quel genere di esperienza rendendo inconsciamente il bambino meno disponibile a parteciparvi.
Apprendimento e stato d’animo
Allora come possiamo innescare meccanismi dopaminergici nella nostra azione didattica? La sfida è far sì che i ragazzi durante l’apprendimento sperimentino curiosità, interesse, allegria, piacere di riuscita, scoperta, fiducia, stima, rispetto.
Lucangeli propone come strumenti di coinvolgimento i sorrisi, il guardarsi negli occhi, la condivisione. Se l’apprendimento non è interattivo, come un videogame, rischia di non essere efficace e non riusciremo a convincere il cervello dei bambini a fare lo sforzo apprenditivo che chiediamo loro. Se poi i nostri studenti hanno paura di sbagliare, percepiscono un senso di inadeguatezza oppure credono di essere vasi vuoti da riempire, i loro cervelli manderanno il comando di fuggire il più lontano possibile da quella situazione considerata pesante e per nulla attraente.
In altre parole, quando apprendiamo il nostro cervello registra anche lo stato d’animo o l’emozione che abbiamo vissuto mentre imparavamo. Con il tempo, ora dopo ora, settimana dopo settimana, anno dopo anno, se le emozioni “negative” a scuola si ripetono, nel nostro cervello s’intensifica l’idea che stare a scuola sia frustrante. Se invece il cervello registra un messaggio positivo, di partecipazione, di conforto, di rinforzo dell’io, allora diventerà più disponibile ad affrontare la fatica dell’apprendimento innescando meccanismi di gratificazione virtuosi.
Anche le nostre lezioni possono attivare circuiti dopaminergici, poiché la dopamina non è solo legata ad esperienze deleterie, ma si innalza anche quando si sperimenta la gioia di trovare ciò che stavamo cercando e ci farà venire la voglia di continuare. È importante che riusciamo a promuovere legami sociali positivi, come la lealtà, l’alleanza, i sorrisi (le risate stimolano la produzione di endorfine), il conforto reciproco.
L’importanza dello sguardo
Sono importanti gli sguardi degli altri: lo sguardo degli altri ci interessa, o perché preoccupa o perché gratifica. Alcuni sguardi sono così giudicanti, che ci fanno sentire in colpa, svelano i nostri limiti, mettono in luce le nostre fragilità. Altri sguardi, al contrario, ci danno energia, ci sollevano e incoraggiano.
Le conferme e gli incoraggiamenti che si ricevono o non si ricevono dalle persone che ci circondano condizionano il sistema di connessioni neuronali modificando le traiettorie evolutive, ben più di un videogioco, quindi è importante per noi docenti ripensare ad una didattica che risulti motivante, coinvolgente, interattiva, autentica ed appagante, che consenta, cioè, ai nostri studenti di percepirsi con uno sguardo liberante.
Ricordiamoci infine che noi docenti non siamo da soli a fare questo. La scuola è una comunità dove tutti sono corresponsabili, inclusi i bambini. Ricordiamoci allora di puntare su una didattica cooperativa che sia in grado di sviluppare e suscitare gli stessi sguardi “liberanti” tra pari; poiché riuscire stare insieme è il gioco più bello.
FONTI
Aleteia giugno’18 https://it.aleteia.org/2018/06/19/fortnite-epic-games-dipendenza/ https://it.aleteia.org/2018/06/19/fortnite-epic-games-dipendenza/
Daniela Lucangeli https://www.youtube.com/watch?v=zD5QEisLN1U&t=6s
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