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PREGHIERA E PIZZA, LA CHIESA È FAMIGLIA

Nel bel mezzo di una lezione arriva Ludovica con una domanda molto interessante: Dio si offende se una persona dice di non aver voglia di andare in chiesa?

Immediatamente ho provato a ribaltare la domanda: se tu mi invitassi a casa tua ed io ti dicessi che non ne ho alcuna voglia perché mi annoio, tu come ti sentiresti? Ludovica ha risposto che ne rimarrebbe delusa, io le ho detto che per Dio non lo so. I sentimenti umani non sono gli stessi di Dio, sicuramente Lui ha più pazienza e misericordia di noi.

Due settimane, nel giorno dell’Immacolata Concezione, è stato letto in chiesa il brano del vangelo sull’Annunciazione, nel quale si ricorda uno speciale “sì”, quello detto da Maria a Dio; le nostre esistenze invece sono piene di “no” a Dio. Ed è facile cedere, a volte anche comodo dire di no. Sempre più spesso si va di fretta, si hanno altre priorità, non si trova il tempo per fermarsi in chiesa e ritagliarsi un momento di preghiera o più semplicemente per riposare dagli affanni della vita. E ciò vale anche per la domenica, giorno in cui tutti i cristiani sono chiamati ad andare in chiesa per celebrare il Signore. Questo precetto, se vissuto come una imposizione, non sarà rispettato per lungo tempo.

Dopo la cresima, il vuoto

Qualche giorno fa mi confrontavo su questo tema con alcuni responsabili della pastorale giovanile. Si parlava di quanti ragazzi considerano la cresima il momento dei saluti, in cui scorrono i titoli di coda nella vita di fede. Analizzando la domanda della mia alunna si intravede l’impostazione di quella educazione che da generazioni ormai viene offerta ai nostri ragazzi: se vai in chiesa e fai il bravo tutte le domeniche Dio è contento, in caso contrario Lui si dispiace assai, anzi rischi seriamente di finire all’inferno. La catechesi è spesso improntata nel meccanismo del premio, sottovalutando che c’è un aspetto comunitario, umano e di condivisione molto importante, soprattutto per i giovani. Finché l’impostazione sarà questa non possiamo chiedere ai nostri ragazzi di continuare a vivere una vita di fede.

I nostri ragazzi frequentano le ore di catechismo fin dalla tenera età con la dichiarata intenzione di ricevere i sacramenti; l’adolescenza è un momento molto delicato nella vita dei ragazzi, quello in cui spesso abbandonano il cammino intrapreso. Se negli anni della loro formazione non avranno trovato qualcosa che li accomuna oltre quell’oretta settimanale di catechismo inevitabile arriverà il loro definitivo saluto al parroco e a Dio. La parrocchia non deve essere intesa come un’agenzia di servizi piuttosto come luogo dove potersi incontrare, condividere, crescere e confrontarsi.

Preghiera e pizza

I miei figli, nel pieno dell’adolescenza, frequentano le attività in parrocchia sentendosi parte attiva di una comunità. Nessuno glielo ha imposto, hanno avuto catechisti di vecchio stampo senza particolari slanci di spiritualità. Non hanno frequentato corsi o cammini specifici, seppur fin dalla tenera età vanno a Messa la domenica e nei giorni di festa, il resto lo ha fatto lo Spirito Santo che soffia su di loro. C’è però un punto forte: nella parrocchia hanno formato un gruppo di amici che condivide la preghiera così come una pizza, un’attività pastorale così come una festa di carnevale, la Messa come una pattinata al palaghiaccio. Esperienze spirituali e momenti di svago e divertimento, legati dalla stessa fede e da valori comuni.

“Amatevi gli uni gli altri” e “vi ho chiamato amici” non sono frasi che ha inventato qualche illuminato parroco, ma Gesù. Ho la netta convinzione che finché i ragazzi continueranno a frequentare solo le ore del catechismo senza andare al McDonald’s con il parroco o disputare una partita di calcio nel cortile antistante la parrocchia non sperimenteranno questa dimensione comunitaria. L’oratorio di don Bosco nasceva per togliere i ragazzi dalla strada e farli crescere in un ambiente protetto: oggi hanno lo scopo di far uscire i giovani dal loro guscio tecnologico e fargli respirare un’aria sana, di amicizia e Vangelo.

Una famiglia

Perché Dio dovrebbe offendersi se noi non andiamo in chiesa? Ha vicino a sé un taccuino dove segna le presenze di chi va a messa la domenica? Tale sciagurata iniziativa l’ho osservata, in più di un’occasione, in alcune parrocchie a conferma che la Messa viene intesa come un timbro postale da apporre nel libretto delle buone e sante intenzioni.

La domanda della mia alunna se da un lato mi ha turbato, ha stimolato in me riflessioni che avevo nel cuore. La Chiesa è una famiglia e non il luogo dove si collezionano buone azioni per tranquillizzare la propria coscienza e fare bella figura. L’augurio, anche in vista delle ormai prossime festività natalizie, è quello di poter riconoscere in chiesa il nostro vicino di banco, stringergli la mano, interessarsi a lui, informarsi sulla sua famiglia. Così facendo vivremmo appieno la completezza della vita di fede che non può escludere l’amicizia, il contatto umano e gli incroci degli sguardi.

Leggi gli altri articoli in “Scuola”

Info Andrea Gironda

Andrea Gironda, nato a Roma nel 1974, è insegnante di religione nella diocesi di Roma. È autore del libro “Anche i pidocchi vanno in Paradiso” e con Àncora ha appena pubblicato "Chiedetelo ai vostri bambini".
Cura il sito www.andreagironda.it

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19 Dicembre 2018 By Àncora Editrice 1 commento

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