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Home » Archivi per Andrea Gironda » Pagina 4

QUEL PROF CHE CI FACEVA COPIARE

La scuola, tra mille difficoltà, è finalmente ripartita, dopo molti mesi dall’ultima lezione avvenuta nei primi giorni di marzo; sembra passata un’eternità, un tempo lungo mai vissuto prima dall’intero mondo della scuola. Affiorano in questi giorni alcuni ricordi scolastici; scrivo quasi sempre da docente, ma non dimentico mai di essere stato studente.

Ripensavo ad alcuni dei miei insegnanti. Ognuno di noi ricorda una maestra, una professoressa o un professore che ha lasciato un segno, per bravura, simpatia, per delle buffe espressioni oppure perché catturava la nostra attenzione lasciando così un ricordo indelebile. Insegnanti capaci di oltrepassare il limite del tempo e vivere nei cuori dei loro studenti; credo che questo sia il sogno di ogni docente, me compreso.
Tra i tanti insegnanti ne ricordo uno che ho incontrato nell’ultimo anno di studio della mia tanto “amata” ragioneria!
In questo percorso di studio, le materie che avevano una maggiore ricaduta formativa erano la ragioneria e la tecnica bancaria. Quest’ultima veniva insegnata da un simpaticissimo professore che di cognome faceva Perseo. Vi lascio immaginare le battute, una delle più in voga era quella che “seo per seo faceva sempre trentaseo!”.

Il prof. Perseo era un signore molisano avanti negli anni, vestiva in modo informale, spesso con una camicia che nel periodo invernale veniva accompagna da un golfino oppure da una giacca. Era basso di statura, aveva un’espressione bonaria, il naso sempre rosso e i capelli… ecco, la cosa curiosa era il colore dei suoi pochi capelli. A seconda della tintura questi cambiavano spesso colore: a volte castano chiaro, a volte di un tono più scuro, per sconfinare un giorno addirittura in un verde rame! Di questo colore li vedemmo nel momento in cui il professore decise di mettersi vicino alla finestra: il sole impietoso in controluce dava ai capelli questa bizzarra sfumatura. Questo aspetto lo rendeva tanto buffo quanto simpatico ai nostri occhi. Effettivamente il prof. aveva un carattere bonario e allegro. Un insegnante allegro lascia sempre un segno.

Era bravo a spiegare una materia per me ostile, ma soprattutto ricordo una fondamentale caratteristica: credeva e incoraggiava “il giovane” come lui spesso ci definiva. “Il giovane deve credere in se stesso”, “il giovane non deve scoraggiarsi”… spesso usava questa espressione al singolare e non al plurale, come se volesse rivolgersi ad ogni singolo ragazzo e non ad una pluralità di studenti.
Noi avevamo con lui un rapporto molto sereno, spesso scherzoso e schietto. Il professor Perseo però aveva un’abitudine davvero singolare.

Somministrava tre prove di verifica ogni quadrimestre: alla prima prova però lui consegnava il compito e se ne andava. Sì, ci lasciava soli per due ore, ogni tanto si affacciava per accertarsi che non c’erano feriti o disertori, per poi ritornare alla fine del compito. Questo gesto, apparentemente poco professionale, aveva una spiegazione: consentiva a noi tutti di poter aprire il libro e copiare, in questo modo “il giovane” prendeva un bel voto iniziale e non si sarebbe scoraggiato per il futuro dove le prove sarebbero state decisamente più difficili. Nonostante questo gesto di clemenza però qualcuno prendeva lo stesso un voto basso se non addirittura insufficiente.

Questo perché bisogna saper copiare e sapere dove cercare, aver almeno sfogliato il libro e svolto qualche esercizio nei giorni precedenti per non trovarsi completamente disorientati. La motivazione principale era infondere coraggio ai suoi studenti; obiettivamente eravamo una classe che non prometteva bene per la futura storia bancaria italiana!

Del prof. Perseo ho un dolce ricordo, una figura paterna per dei ragazzi della periferia romana in cui lavorava. Un uomo fondamentalmente buono che prima di ogni cosa cercava di infondere fiducia anche a coloro che non avevano il sacro fuoco delle tecniche di bilancio.
Con il suo modo di fare questo insegnante stava lasciando un segno anche nel futuro del maestro Andrea, insegnandomi che l’aspetto umano è prioritario rispetto alla materia insegnata. Con il tempo ho capito il valore di questo messaggio.

Leggi gli altri articoli in “Scuola”

NON TROVEREMO LA SCUOLA CHE ABBIAMO LASCIATO

In questo periodo la scuola ha i riflettori puntati su di sé, l’attenzione pubblica in merito è altissima. “Come rientreremo?” è la domanda che mi viene posta di frequente. Generalmente sono abituato a domande ben più impegnative sotto il profilo teologico. Questa rientra nel campo dell’ignoto.

Ne abbiamo sentite davvero di tutti i colori: lezioni metà a casa e metà a scuola (che ricorda la famosa “bizona” del mister Oronzo Canà!) proposta dalla Ministra dell’Istruzione, plexiglas tra i banchi, lezioni in parrocchia, nei parchi, nei teatri (non hanno nominato le spa), banchi anticovid con rotelle, senza rotelle, rime buccali, metri statici e metri dinamici, no alle cattedre (ma questa è una vecchia battaglia delle innovatrici della didattica).

Insomma, in alcuni momenti non si capiva se quanto proposto fossero bizzarre farneticazioni, invenzioni della stampa per riempire le pagine dei giornali o proposte serie.

C’è tanta confusione nel mondo della scuola, paragonato ad un enorme elefante per lo Stato, che conta otto milioni di studenti, sedici milioni di genitori, e quasi un milione di docenti a cui si aggiunge il personale non docente che per diversi motivi rientra nel comparto scuola. Mettere mano a questa mastodontica macchina richiede risorse, efficienza e competenza: faccio fatica a scorgere una sola di queste qualità negli ultimi governi del nostro Paese. Solo con l’emergenza della pandemia ci si è resi veramente conto di avere scuole fatiscenti, banchi con il calamaio, classi pollaio e un corpo docente avanti negli anni. E’ l’Italia del giorno dopo che, davanti alle emergenze, si accorge della trascuratezza e della negligenza della politica degli anni passati.

Una volta archiviati questi discorsi mi rendo conto – da insegnante – che tra qualche giorno ritroverò i miei alunni. Questo insolito inizio di anno scolastico pone ogni insegnante davanti ad uno scenario nuovo. Non penso più alla scansione temporale degli argomenti, alla sistemazione delle aule, ai libri da proporre: davanti ai nostri occhi avremo degli alunni che vengono da un periodo di pandemia, lontani dalle aule da sei mesi, con domande e dubbi importanti. Non importa che siano bambini o ragazzi, ognuno porterà con sé un pezzo di vita vissuto e cercherà un nuovo senso a parole come “distanziamento”, “pandemia”, “isolamento”, “contagi”.

Cercheranno un senso anche con i loro insegnanti. Cosa diremo ai nostri alunni? Inevitabilmente si dovrà tener conto di questo aspetto importante; gli studenti non troveranno la scuola che hanno lasciato, alcuni dei punti di riferimento (insegnanti, compagni, organizzazione spazio/tempo) potrebbero essere messi in discussione. Inevitabilmente vivremo un periodo di disorientamento.

È il tempo di essere forti, sinceri, autentici, di mettere da parte i musi lunghi, i malumori, le polemiche, i disagi e proporre ai nostri alunni un’opportunità ancora nuova per crescere. Dovremo scherzare di più, essere allegri, positivi. Il rapporto docenti-alunni è ancora più importante in questo periodo. La bussola dei docenti dovrà puntare a ritrovare la strada anche nei momenti in cui ci si sente persi.

È il momento in cui docenti, genitori e studenti facciano squadra. Insieme navigheremo in questa barca che è la scuola: c’è qualche falla ma è nei momenti difficili che si vedono i grandi eroi e i grandi capitani.

Mi sono chiesto, in questo ultimo tempo, se potevo trovare dei sussidi per affrontare questo momento. Durante il periodo del lockdown si sono moltiplicati webinar e corsi di formazione che tentavano di analizzare questi aspetti. Al di là delle chiacchiere e delle indicazioni più o meno valide, sarà la capacità di ascoltare i nostri giovani la prerogativa assoluta per un buon inizio. Ritagliamo del tempo – soprattutto in fase iniziale – per ascoltare i nostri ragazzi, chiediamo loro quali sogni e quali paure hanno nel cuore in un momento così importante e delicato. In tal senso gli insegnanti possono fare molto, anche più delle famiglie e degli psicologi. Per il rientro a scuola sono stati interpellati virologi, scienziati, sindacati, avvocati, ingegneri ma nessuno ha posto in essere una riflessione che possa aiutare e sostenere il lavoro dei docenti. Degli insegnanti si parla solo sparando fantomatici numeri per le assunzioni (che mi sa tanto di propaganda elettorale), di contratti, scioperi.

E allora avanti tutta, in alto i cuori e animi allegri. Mettiamo nelle nostre borse più sorrisi, più ascolto. Aiuterà tutti a ripartire non con la paura ma con il coraggio di affrontare nuove sfide. Almeno finché durerà.

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“MAESTRO, PERCHÉ DIO HA CREATO LE MALATTIE?”

Perché Dio ha creato le malattie (quindi fa ammalare) e poi dobbiamo pregare per quella persona?

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NO, GLI ALUNNI NON SONO TUTTI UGUALI

Mi trovo a pranzo con tre studentesse del liceo. Tema del giorno: il rapporto tra professori e alunni. È voce comune che nelle loro classi ci siano delle disparità di trattamento da parte di alcuni insegnanti. Mi descrivono che esistono delle caste sociali, anzi scolastiche, piuttosto evidenti create dagli insegnanti: ci sono alunni simpatici, quelli antipatici, i preferiti delle prof, i cocchi, i “lecchini” (termine che mi ha riportato indietro nel tempo), i dimenticati, gli irrecuperabili e così via discorrendo.

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IL BATTESIMO: MEGLIO DA GRANDI O DA PICCOLI?

«Perché Gesù si è battezzato da grande, non poteva battezzarsi da piccolo? Nel mio palazzo succede questa cosa: tutti gli adulti si battezzano non da piccoli ma da grandi!!!! Beh, io non so se questo è bene o male però per me è meglio battezzarsi da piccoli come ha fatto ieri mio fratello Jacopo. Tu sei stato battezzato da grande o da piccolo?».
Mi arriva questa bella domanda da parte di una mia alunna Teresa di 8 anni che, nel periodo della quarantena, ha imparato a scrivere delle e-mail. Le sue domande arrivano dirette, accompagnate dalla spontaneità e dalla dolcezza tipica di quella età.
Il tema del battesimo è spesso oggetto della curiosità dei bambini; se vogliamo è il loro unico grande evento della vita spirituale fino all’età della prima comunione; un momento non lontano nel tempo seppur vissuto senza consapevolezza. Teresa è sorpresa perché è venuta a conoscenza di persone abitanti nel suo palazzo che non sono state battezzate da piccoli ma da grandi. È un bene o un male?
Potremmo dire, con una nota di amarezza, che è già tanto che si siano battezzate. Non di rado mi capita di avere tra i miei alunni bambini che non hanno ricevuto il battesimo e che non mostrano alcuna intenzione di farlo.
Per capire il battesimo in età infantile bisogna guardare alla famiglia come la culla della fede. Come i genitori scelgono quale tipo di alimentazione seguire e con quali principi educare il proprio figlio, questa scelta ricade anche nella vita della fede. Una famiglia cristiana spontaneamente decide di far battezzare il proprio figlio, affinché la grazia dello Spirito Santo possa aiutarlo a crescere nella fede. I genitori si prendono direttamente carico di educare e crescere cristianamente il bambino. È una nuova nascita, una nuova avventura spirituale che il piccolo farà accompagnato dalla fede e dalla testimonianza della famiglia, del padrino e della madrina.
Nella storia della Chiesa sono stati altalenanti i periodi in cui una persona poteva essere battezzata; spesso da adulti, in alcuni periodi in punto di morte, altri ancora da bambini. Nel nostro Paese è un’abitudine consolidata da decenni che il battesimo si amministri ai bimbi molto piccoli; fino a qualche anno fa si battezzava addirittura nelle cappelle degli ospedali o delle cliniche.

Se estrapoliamo la vita di una fede attiva in una famiglia è allora naturale che la scelta di battezzare un bambino in età infantile non nasca così spontanea; è peggio, a mio avviso, quando si amministra un battesimo lì dove questo venga concepito solo come un momento di grande festa senza dare peso al significato spirituale.
In più di un’occasione mi è capitato di assistere al battesimo di alcuni miei alunni battezzati da grandi (8-9 anni); spesso sono celebrazioni molto belle, intense, vissute con maggiore consapevolezza sia da parte del battezzato, sia dalla famiglia, che viene toccata dalla grazia. Una fede “tardiva” che lascerà comunque un segno nella loro vita spirituale.

Non c’è un bene o un male: ci sono i fatti, le vite vissute, le storie di ognuno che meritano attenzione e rispetto.
Alla fine della sua e-mail Teresa mi chiede informazioni sul mio battesimo. Fui battezzato a tre mesi, il 22 dicembre del 1974 da un sacerdote di nome don Pasquale di cui ho un vago ricordo; a testimoniare l’evento ho solo una sbiadita Polaroid a colori. Ritrae me in braccio alla mia madrina polacca, con un vestitino bianco accanto ai miei genitori. È una foto che trasmette una certa tenerezza, forse perché unica nel suo genere. Oggi il servizio fotografico è ben diverso, nei primi anni ’70 si scattavano decisamente meno fotografie visti i mezzi dell’epoca.
La chiesa in cui fui battezzato in realtà era un locale in cui venivano svolte le celebrazioni liturgiche visto che la chiesa parrocchiale era in costruzione. Oggi, ripassando in quella zona, al posto della chiesa c’è una banca! Purtroppo non posso tornare nel luogo in cui venni battezzato a meno che io non voglia aprire un conto corrente bancario.

Il battesimo, che sia ricevuto da piccoli o da adulti, resta comunque la prima tappa della vita cristiana, quella carezza di Dio che non conosce la corruzione del tempo e degli eventi. È un alito di vita che continuerà a soffiare alimentando quella tenerezza e quell’Amore di Dio di cui tutti abbiamo bisogno.

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19 Dicembre 2018 By Àncora Editrice 1 commento

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