«Se invidio qualcosa a Bartimeo non è la vista riacquistata, ma la capacità di accorgersi del Signore che passa, al punto da gridare il suo nome, prima come “Figlio di Davide” e poi come “Rabbunì”, maestro. Anch’io vorrei riuscire a riconoscere sempre la presenza di Gesù nella mia vita». Don Matteo Buggea è nato cieco 48 anni fa. A lui abbiamo chiesto di commentare il Vangelo di domenica 28 ottobre (Mc 10, 46-52), quello appunto dell’incontro di Bartimeo con Gesù.
Davvero non le fa un po’ di rabbia, questo passo del Vangelo? Il cieco di Gerico torna a vedere, e chissà quante volte lei ha chiesto lo stesso…
Ci sono stati momenti nella mia vita nei quali non desideravo altro. Col tempo puoi capire che ciò che è una perdita può diventare un guadagno. Il limite lo sperimentiamo tutti, da Adamo in avanti. A volte il limite è un grosso impedimento, a volte no. È un recinto nel quale, comunque, puoi realizzarti.
Lei quando è diventato sacerdote? Ma soprattutto: perché?
Ho iniziato a pensarci a 20 anni, ma in seminario sono entrato a 29, dopo essermi laureato in Pedagogia e Scienze religiose. Sono diventato sacerdote a 34 anni, e oggi sono parroco a Pachino, nella diocesi di Noto, e assistente diocesano del Movimento Apostolico Ciechi. È stato un cammino lungo, che ha avuto come risultato quell’essenziale che non è visibile agli occhi, e che ha a che fare con la bellezza della vita.
Come fa a celebrare senza vedere?
Leggo i testi in braille – ho la stampante apposita – e sono aiutato all’altare da un diacono o dal vicario parrocchiale. Per il lavoro quotidiano, invece, ho un computer e un cellulare e una app con un sintetizzatore vocale. Un grande passo in avanti rispetto a quando fui ordinato sacerdote…
Se qualcuno le dice che «i ciechi vedono col cuore», apprezza o si arrabbia?
Dipende. Se lo dice una vecchietta, una di quelle che sta sentendo il peso della sofferenza e nonostante questo vuole dare a me una parola di conforto, io la ringrazio e la abbraccio. Se però è pronunciato con un atteggiamento snob, un po’ freddo, le cose cambiano. Anche il pietismo non mi piace per niente: non vedente, diversamente abile… di parole per descrivere questa condizione ce ne sono tante. Troppe.
Lei quale preferisce?
Cieco. Sono cieco, no? Perché rigirare la frittata con altri termini?
Torniamo all’episodio di Bartimeo. Gesù chiede a lui, cieco: «Che cosa vuoi che faccia io per te?». Con tutto il rispetto: la domanda non è un po’ scontata?
Potrebbe sembrarlo. Ma va legata all’insegnamento sul “servire”, sempre nel capitolo 10 del Vangelo di Marco. I figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, vanno da Gesù e gli dicono: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Qui invece è Gesù che fa la domanda, e Bartimeo si fida. Ha un mantello, che nella Bibbia ha un significato di protezione: il mantello del prossimo, insegna il libro dell’Esodo, va assolutamente restituito entro il tramonto del sole perché possa servirgli come coperta. Bartimeo se ne frega del mantello e balza in piedi per correre verso Gesù. Quando è guarito lo segue, diventa suo discepolo. Come gli altri discepoli, anzi pure un po’ di più.
Il Vangelo di domenica 22 marzo
Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».
Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé».
Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.
Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
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