di Guglielmo Cazzulani
Guai a chi mi dice che l’Avvento è un tempo penitenziale, dove ci tocca rovesciare un po’ di cenere sopra la testa.
Anche se i preti indossano abiti che hanno lo stesso colore di quelli che si mettono in Quaresima, l’Avvento non è fatto per la tristezza, ma per la felicità. I vangeli che narrano l’attesa e la venuta di Gesù traboccano di gioia. Via dunque a tutti quei dolorismi che, nessuno sa come, si sono infiltrati nel popolo cristiano. Come se la fede fosse sinonimo di una vita triste.
Semmai l’Avvento è un tempo che ci costringe a vivere sulle spine. Scriveva Franz Kafka: “Anche se la salvezza non viene, voglio però esserne degno a ogni istante”. Uomo ateo, aveva però mantenuto il sottofondo ebraico della sua cultura. E anche se non credeva in Dio, capiva che la peggior sventura che possa capitare ad un uomo è quella di non attendere più nulla. C’è un senso nella vita. C’è un tragitto da compiere, e il senso del cammino non è il camminare in sé, ma la meta verso cui siamo diretti.
Così il più bel regalo che la Chiesa può fare al mondo consiste nel sradicarlo dalla poltrona e proibirgli le pantofole. La passione, la responsabilità, la gioia di chi vive con intensità ogni istante della sua vita. Non si lavora per il ventisette del mese, ma per acquisire competenza e professionalità, e contribuire al miglioramento del mondo. Non si ama per avere una compagnia, ma per dedicare tutto noi stessi, nella pretesa che una decisione possa perdurare fino all’eterno. Non si contempla un tramonto pensando che subito dopo viene la notte, ma nella fiducia che ne verranno centinaia di altri, e che questa vita è disseminata di incantevoli bellezze.
Ecco, la passione. L’Avvento ha la piccola pretesa di risollevare un interruttore dentro di noi. Quello stesso interruttore che le fatiche della vita, le usure e le prove, rischiano di abbassare, condannandoci ad un’esistenza colma di insofferenza e di noia.
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