11 gennaio 1999, se ne andava Fabrizio De André.
Non credeva nel Dio delle Chiese, ma si è sempre interrogato sull’esistenza di una «paternità» superiore. Nessun altro autore di canzoni del ‘900 italiano ha toccato così profondamente il problema di Dio, il mistero di Gesù, la coscienza di chi ha fede, i dubbi dei non credenti, i sentieri dei cercatori di una qualche verità o del senso della vita.
La città vecchia (1965)
Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente di altri paraggi
una bimba canta la canzone antica della donnaccia
quello che ancor non sai lo imparerai solo qui tra le mie braccia.
E se alla sua età le difetterà la competenza
presto affinerà le capacità con l’esperienza.
Dove son andati i tempi di una volta per Giunone
quando ci voleva per fare il mestiere anche un po’ di vocazione?
Una gamba qua, una gamba là gonfi di vino
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
Li troverai là, col tempo che fa estate e inverno
a stratracannare, a stramaledire le donne, il tempo ed il governo.
Loro cercan là la felicità dentro un bicchiere
per dimenticare di essere stati presi per il sedere.
Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteranno sul viso l’ombra di un sorriso fra le braccia della morte
Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie
quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie
tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte
ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
quando incasserai, dilapiderai mezza pensione
diecimila lire per sentirti dire: “micio bello” e “bamboccione”.
Se t’inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
in quell’aria spessa, carica di sale, gonfia di odori
lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.
Se tu penserai e giudicherai da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli sono pur sempre figli
vittime di questo mondo.
La frase «Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldar la gente di altri paraggi» è ripresa direttamente da una poesia di Jacques Prévert, Embrasse moi, da Histories, 1946: “Le soleil du bon Dieu ne brill’ pas de notr’ côté / Il a bien trop à faire dans les riches quartiers (“Il sole del buon Dio non brilla dalle nostre parti / ha già troppo da fare nei quartieri dei ricchi”).
La città vecchia è un testo esemplare per delineare alcuni punti chiave della poetica di De André.
Quando il brano uscì non ebbe nessun successo o appena un successo underground, che divenne invece eclatante dal 1968, cioè dopo che Mina interpretò la canzone in un modo intenso e originale. De André però iniziò ad essere conosciuto – meglio: a lasciarsi conoscere – alla metà degli anni Settanta, quando accettò di fare prima alcuni concerti (fino ad allora rifiutati) e poi la grande tournée con la Premiata Forneria Marconi (e, particolare biografico non secondario, da quando nella sua vita è entrata la sua seconda moglie Dori Ghezzi). Da quella stagione, che in Italia significò anche l’affermazione complessiva dei “nuovi cantautori” (ovvero quelli venuti dopo la prima stagione di Gino Paoli, Luigi Tenco, Sergio Endrigo…) questa canzone è divenuta un po’ il simbolo dell’universo poetico di De André.
La città vecchia non è solo una delle più importanti canzoni di De André, ma costituisce anche una buona base per illuminare le sue scelte artistiche e letterarie. Infatti è importante subito precisare che si tratta di una rielaborazione-traduzione di una poesia di Umberto Saba intitolata anch’essa Città vecchia, di è necessario riportare alcuni versi per meglio mostrare quale sia il percorso di De André, e il suo uso liberissimo delle fonti e degli influssi culturali.
Scrive il triestino Saba: “Spesso, per ritornare alla mia casa / prendo un’oscura via di città vecchia (…) Qui tra la gente che viene che va / dall’osteria alla casa o al lupanare (…) qui prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, (…) la tumultuante giovane impazzita / d’amore / sono tutte creature della vita / e del dolore; / s’agita in esse, come in me, il Signore. / Qui degli umili sento in compagnia / il mio pensiero farsi / più puro dove più turpe è la via”.
Possiamo notare che nel testo di De André, rispetto a quello originario di Saba, vi è un maggior realismo accompagnato a una semplificazione del lessico, delle immagini e dei concetti e irrobustito da un fortissimo gusto narrativo e dall’abbandono della presenza lirica soggettiva, caratteristiche queste che rimarranno costanti nella sua produzione. È interessante rilevare che sono proprio i primi due versi – dove si usa la prima persona – quelli caduti ed eliminati e che nella chiusa dove ricompare la riflessione diretta di Saba, De André preferisce inserire un’apostrofe rivolta all’ascoltatore e un atto d’accusa all’ipocrisia borghese.
Le differenze ora notate tra la poesia di Saba e il testo De André ci permettono di sottolineare due aspetti. Il primo che De André non è un poeta nel senso convenzionale del termine ma piuttosto un cantastorie, o, meglio ancora, un autore di racconti-romanzi cantati. L’altro che è preponderante in De André, rispetto alla lirica “cortese” italiana, l’influsso della poesia grottesco-carnevalesca, italiana e non italiana. Possiamo affermare dunque che il De André chansonnier in proprio e traduttore di canzoni d’altri e rivisitatore di poesie antiche e moderne è comprensibile solo a partire dal fatto che egli era comunque e sempre un cantastorie, che insomma, anche in versi, era un grande autore “romanzizzato”. Non solo, ma possiamo anche ribadire che la cifra costitutiva del suo canzoniere è l’ironia, il grottesco, il rifiuto della classicità, il tradurre anche la propria lingua in un’altra lingua, il giocare con le parole per liberare le parole, per spezzare la crosta della convenzionalità e dare nuova libertà all’uomo e al suo pensiero.
Lascia un commento