La canzone di De André fra tradizione e innovazione
De André è sempre stato un grande innovatore. Dunque in tutti e tre i periodi della sua attività – quello in cui era maggiormente influenzato da Brassens e dagli chansonnier francesi (anni Sessanta), quello in cui si è aperto al rock e a Bob Dylan (anni Settanta), quello in cui è arrivato alla world music (anni Ottanta-Novanta) – ha avuto un enorme successo di pubblico e di critica. Non solo, ma De André ha avuto una grande influenza su autori che sono stati suoi collaboratori e amici: De Gregori, Bubola, Fossati, Malaspina… Ma forse la sua influenza è stata più complessa e indiretta. Nessuno dopo di lui, ed anche dopo la sua morte, ha potuto più dire che la canzone italiana non era arte.
Presentando La città vecchia durante un’esibizione del 1997, De André disse: “È una canzone del 1962, dove precisavo già il mio pensiero. Avevo 22 anni, adesso ne ho… E il mio pensiero non è cambiato, perché un artista, a qualsiasi arte si dedichi, ha poche idee, ma fisse. Io credo che gli uomini agiscano certe volte indipendentemente dalla loro volontà. Certi atteggiamenti, certi comportamenti sono imperscrutabili. La psicologia ha fatto molto, la psichiatria forse ancora di più, però dell’uomo non sappiamo ancora nulla. Certe volte, insomma, ci sono dei comportamenti anomali che non si riescono a spiegare e quindi io ho sempre pensato che ci sia ben poco merito nella virtù e poca colpa nell’errore, anche perché non ho mai capito bene che cosa sia la virtù e cosa sia l’errore”.
La canzone all’epoca fu anche censurata, per cui i versi originari «quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia / quella che di notte stabilisce il prezzo della tua gioia» furono sostituiti in via definitiva (anche dunque per le successive versioni in studio e live del brano) con «quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie / quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie». Una prima versione contenente il turpiloquio fu incisa, ma a causa della censura venne ritirata dalla stessa Karim, e ne esistono solo poche copie stampate. Onestamente mi pare migliore il risultato finale. Per una volta, paradossalmente, va ringraziata per la collaborazione la “Buoncostume” dell’epoca.
Paolo Jachia
Umberto Saba, Città vecchia (ed. 1948)
Spesso, per ritornare alla mia casa prendo un’oscura via di città vecchia. Giallo in qualche pozzanghera si specchia qualche fanale, e affollata è la strada. Qui tra la gente che viene che va Dall’osteria alla casa o al lupanare, dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà. Qui prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita d’amore, sono tutte creature della vita e del dolore: s’agita in esse, come in me, il Signore. Qui degli umili sento in compagnia il mio pensiero farsi più puro dove più turpe è la via.
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