“Un giorno ti dirò/ che ho rinunciato alla mia felicità per te”. Un padre dialoga con la figlia, nella canzone degli Stadio che ha vinto il Festival di Sanremo del 2016 (“Un giorno mi dirai”, per l’appunto).
Il tema della rinuncia va avanti (“Un giorno ti dirò/ che ho rinunciato agli occhi suoi per te”), ed è presente anche quando la parola non è così esplicita. C’è infatti la rinuncia a mettere se stessi al centro (“Un giorno ti dirò/ che ti volevo bene più di me”), e la rinuncia – stavolta consigliata da lui alla figlia – ad assolutizzare una delusione, perfino in amore, quando a lei sembrerà di non vivere più: “Io ti dirò che un uomo/ può anche sbagliare lo sai/ Si può sbagliare lo sai/ Ma che se era vero amore/ è stato meglio comunque viverlo”.
Nel vangelo di domenica 8 settembre (Lc 14, 25-33), Gesù chiede di fare a meno non di qualcosa, ma di tutto: “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. E per dire che per “tutto” intende proprio “tutto”, ci dice prima che bisogna amarlo più dei propri genitori, fratelli e della propria stessa vita, poi che c’è una croce da portare (rinunciando evidentemente alla vita, frenetica ma certamente più comoda, alla quale siamo abituati).
Non è amore se non c’è dono, e quindi se non c’è rinuncia. Ma, da egoisti, possiamo chiederci: ne vale la pena? Quel padre di “Un giorno mi dirai” ammette di aver “rinunciato alla mia felicità per te”. Ma era, forse, quella felicità che immaginava da ragazzo: la nascita di una figlia l’ha costretto a rimescolare le carte, a cambiare le priorità, a rinunciare a sé per lei. Travolto dalla vita, ma cresciuto. E, forse, felice di non essere più lui al centro. Quindi sì, valeva la pena. O, più in generale, a far del bene ci si fa del bene.
Il vangelo di domenica 8 settembre
Lc 14, 25-33
Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Lascia un commento