La frequenza con la quale ricevo le storielle in stile catena di sant’Antonio è alta almeno quanto la mia rapidità nel cestinarle. Le trovo fastidiose, inutili, spesso condite di ingenuità, senza una sufficiente verifica delle fonti (dopo un roboante “sentite cosa ha detto Papa Francesco!!” parte un virgolettato assolutamente inverosimile).
C’è però una storiella che vi voglio proporre – così potrete dire che quello fastidioso stavolta sono io – attribuita a uno scrittore ungherese (anche qui: quale? In che libro? Mistero…).
È la storia di due bebé che dialogano ancora prima di venire al mondo. Uno dei due parla di una vita dopo la nascita, mentre per l’altro è impossibile: siamo attaccati al cordone ombelicale, osserva, e quando ci staccheremo da quello certamente moriremo. Camminare? Mangiare? Che assurdità: qui non è possibile.
L’altro fratello, però, insiste: “Credo che ci debba essere qualcosa, anche se un po’ diverso dalle cose alle quali siamo abituati”. Non sa spiegarlo bene, e neppure sa descrivere quella “mamma” al quale l’altro non crede (“Non l’abbiamo mai vista”). Eppure nutre una certa fiducia, anche perché quello che ha intorno, compreso il fratello, gli parla di quella mamma invisibile.
Il vangelo di domenica 10 novembre, in una certa misura, si pone in questa prospettiva. I sadducei vogliono incastrare Gesù sul tema della resurrezione, alla quale loro non credono. Si inventano così una storiella, estremamente paradossale: visto che una donna vedova, secondo la legge, viene sposata dal fratello del marito, che ne sarà di una donna che ha sposato sette fratelli (uno morto dietro l’altro)? Di chi sarà marito, una volta risorta?
I sadducei pensano di aver così portato alla luce quella che secondo loro è una scemenza totale: no, non si può risorgere. Così come nella storia precedente era una assurdità, per il bebè diffidente, che ci fosse vita dopo la nascita.
Gesù non risponde al caso specifico (peraltro non reale, perché inventato dai sadducei), ma su un tema generale che invece riguarda tutti: gli uomini giudicati degni della vita futura “non prendono né moglie né marito; infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli”. Questo non significa ovviamente che agli uomini spunteranno delle graziose ali o che – ancora peggio – scompariranno i legami d’amore (come può il Paradiso avere qualcosa in meno di bello rispetto alla vita terrena?).
Ma sarà qualcosa che va oltre. Colui che ha fatto il cielo vuole stupirci anche nel Cielo. C’è vita dopo la vita, ma sarà “altra”, non la ripetizione di questa. Un bambino di cinque anni non sta semplicemente aggrappato a un cordone ombelicale più grande, ma è sottoposto ad altre regole e altre dimensioni. Sarà così anche per noi. E non per forza deve essere meno bello, anzi.
Il vangelo di domenica 10 novembre 2019
Lc 20, 27-38
Gli si avvicinarono alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
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