Nell’economia cromatica dell’antichità, dove tutto ruotava intorno a tre colori principali (bianco, rosso e nero), il rosso occupava senza dubbio un posto fondamentale. Una rilevanza dovuta al rapporto con due elementi essenziali della vita umana: il sangue e il fuoco.
A causa dell’alto costo di produzione per la difficoltà del reperimento del materiale da cui era ottenuto, divenne ben presto simbolo di potenza, ricchezza e dignità. Splendido e sontuoso, dopo un periodo che vide il suo impiego limitato all’ambito religioso (divinità e sacerdoti), fu collegato strettamente all’idea di sovranità.
Fenici e Cananei
La fortuna sociale di tale tinta si deve principalmente ai Fenici. A proposito, vale la pena sottolineare che il nome stesso «Fenici» contiene un riferimento al color porpora: infatti significa letteralmente «gente del paese della porpora». Anche i Cananei, ricordati dai testi dell’Antico Testamento, recano nel loro nome una connessione con il nostro colore: il nome significa appunto i «rossi».
I Fenici padroneggiavano le tecniche produttive della porpora e possedevano pure i mezzi per poterla diffondere in modo sempre più vasto. I loro esperti maestri tintori erano richiesti ovunque, come accadde, ad esempio, per la costruzione del Tempio di Gerusalemme, su iniziativa del re Salomone. Così come dai Greci, la porpora fu utilizzata per la creazione di capi d’abbigliamento o per arredamenti preziosi ed esclusivi.
Adamo il rosso
Se avessimo qualche dubbio circa l’importanza del rosso nella tradizione ebraica, può essere sufficiente ricordare che il nome del primo uomo nella tradizione biblica, cioè Adamo, corrisponde all’incirca al nostro termine «rosso». Nell’Antico Testamento infatti, per connotare tutto ciò il cui colore si avvicinava a quello del sangue, si utilizzavano parole composte con il termine dám. Da cui il vocabolo traslitterato in «Adamo», che significa «rossastro» oppure, se si preferisce, «sanguigno» o dotato di vita, vivente.
Pure Esaù riceve il proprio nome e soprannome (Edom) rispettivamente dal colore rosso della carnagione e dalla famosa minestra di lenticchie: «Quando poi si compì per lei [Rebecca] il tempo di partorire, ecco, due gemelli erano nel suo grembo. Uscì il primo, rossiccio e tutto come un mantello di pelo, e fu chiamato Esaù».
Profeti
Il profeta Geremia, nel suo prolungato e rovente rimprovero a Gerusalemme, cita l’uso di vestirsi di scarlatto e porpora come segno di lusso empio e mondano: «E tu, devastata, che cosa farai? Anche se ti vestissi di scarlatto, ti adornassi di fregi d’oro e ti facessi gli occhi grandi con il bistro, invano ti faresti bella».
Anche Ezechiele caratterizza con porpora e minio gli uomini oggetto dei desideri e dei peccati di Oolibà (simbolo di Gerusalemme), sorella di Oolà (che rappresenta la Samaria).
Dunque anche nella letteratura profetica il colore rosso è sovente collegato a comportamenti peccaminosi e viene contrapposto al bianco della neve e della lana: «Su, venite e discutiamo, dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana».
(brani estratti da “L’arcobaleno di Dio”, di Franco Boscione, edizioni Àncora)
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