Jacopo Cardillo aka Jago é un giovane artista – imprenditore italiano che lavora principalmente nella scultura e nella produzione video, nato a Frosinone nel 1987.
Inizia a scolpire giovanissimo, e non nasconde di dovere molto alla sua famiglia: “Mia madre è professoressa – racconta Jago – mi portava ai musei Capitolini, il Vaticano. ‘Quello è Michelangelo’, mi disse una volta. ‘La Pietà l’ha fatta con le sue mani. Puoi farlo anche tu. Copia per imparare, non copiare per copiare’. Un insegnamento preziosissimo”.
Jago sembra avere il dono di modellare il marmo e la pietra, di renderli morbidi e di trasformarli in materia vivente, e questo straordinario talento, insieme ad un approccio innovativo, l’hanno portato a importanti riconoscimenti sia nazionali che internazionali (tra i quali la Medaglia Pontificia (2009) per il busto in marmo dell’allora papa Benedetto XVI).
Il Figlio velato
La scultura, realizzata a New York e poi portata in Italia, è stata donata da Jago alla chiesa di San Severo fuori le mura nel Rione Sanità di Napoli, ed è stata inaugurata il 21 dicembre 2019.
La scultura è ispirata al celebre capolavoro di Giuseppe Sanmartino, il Cristo velato, a cui Jago chiaramente si ispira ma dalla quale si discosta nel significato: ″È una scultura che ho amato profondamente, è un punto di riferimento assoluto. Per me era interessante poter partire da quell’immagine per portare una storia diversa. Il Cristo velato è un uomo che consapevolmente si è sacrificato per il bene della collettività. Il Figlio Velato non è un santo, non è un’immagine religiosa. È un bambino, vittima della nostra inconsapevolezza e della consapevolezza di chi compie certi gesti. È un figlio, perché è di tutti”.
Il bambino è disteso, il capo leggermente di profilo, gli occhi chiusi si intravedono sotto il velo leggero che ricopre tutto il corpo lasciando libera solo una mano, inerme. Questa scultura è un simbolo che racconta una storia di oggi, delle stragi della criminalità e di quelle nel Mediterraneo e nel mondo, dove le prime vittime sono sempre gli innocenti. Soprattutto bambini. “Non vorrei spiegarla. Parlo con quell’immagine. C’è sicuramente la denuncia, la gioia, la sofferenza, ma anche la speranza. Non la amo particolarmente, penso la speranza sia dei disperati. Ma nel creare quest’opera ho conosciuto persone a cui è rimasta solo quella” (Huffington Post, leggi qui l’intervista completa).
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