“Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Si chiude con questa domanda il brano vangelo che verrà letto domenica 20 ottobre.
È quello del giudice disonesto, che segue quello dell’amministratore disonesto e, insomma, verrebbe quasi da accusare l’evangelista Luca di istigazione al malaffare! Ovviamente, bisogna entrare nel racconto.
Troviamo qui una vedova insistente, che vuole giustizia contro il suo avversario. Il giudice disonesto alla fine cede, “perché non venga continuamente a importunarmi”. “Beati i rompiscatole” ,avevamo commentato alcune settimane fa (e anche qui era presentato un esempio di invadenza: quello dell’uomo che a mezzanotte va sotto casa dell’amico a chiedere del pane per i suoi ospiti).
Anche la vedova – non ce ne voglia – un po’ rompiscatole lo è. Ma intanto chiede, chiede, non si arrende. A quel punto Gesù ai suoi discepoli – e dunque ai lettori del Vangelo – dice che anche Dio farà giustizia. Ma, appunto, il Figlio dell’uomo troverà la fede sulla terra?
Fede e felicità
Avere fede significa vedere solo in Dio l’origine della propria felicità (oltre a un miliardo di altre cose, beninteso). Ma – per riprendere l’ultima frase del Vangelo – quando il Figlio dell’uomo verrà, cosa penseranno gli uomini della felicità? Cosa è che ci rende felici?
Un articolo pubblicato da Linkiesta (nel 2016, ma non ha perso di attualità) mostra come gli spot pubblicitari si stiano impossessando della parola felicità.
La formula non è nuova. È sempre stato il segreto della pubblicità. Ma ora si mette tutto nero su bianco. Inserendo la parola felicità negli slogan, scrivendolo sugli scatoloni per la consegna di scarpe e abiti. Così, per esempio, il logo di Amazon sorride. Costa Crociere in una campagna del 2015 prometteva addirittura la “felicità al quadrato”. E Tony Hsieh, ceo di Zappos, piattaforma per l’acquisto online di abiti e scarpe, ha scritto un libro che si chiama Delivering Happiness, Consegnare Felicità. Più chiaro di così. Una delle campagne pubblicitarie più note della Coca Cola si chiama “Open Happiness”. Negli spot proposti ai consumatori in giro per il mondo, la felicità veniva fuori dalla bottiglia una volta aperta.
“Così la pubblicità sfrutta il nostro bisogno di essere felici per vendere”, Linkiesta, 14 maggio 2016
Si potrà dire: ognuno fa il suo gioco. E chi vuole vendere beni di consumo, userà tutte le armi a propria disposizione, compresa la smisurata promessa di felicità.
Ma, appunto, cos’è per noi la felicità, al di fuori degli slogan? E chi ce la può dare?
Il vangelo di domenica 20 ottobre 2019
Luca 18, 1-8
Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
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