di ILARIA BERETTA
In queste ore che precedono il Sinodo per l’Amazzonia – che si apre domenica prossima e che ancora una volta vede le donne partecipare alle assise esclusivamente in qualità di uditrici senza diritto di voto – alcune cattoliche hanno deciso di manifestare per la parità di genere.
Religiose e laiche coordinate dal network Voices of Faith oggi (3 ottobre – diretta streaming qui ) scendono in piazza a Roma per provare a cambiare l’assetto “maschilista” della Chiesa.
In effetti, nonostante le dichiarazioni di principio sulla parità e i passi in avanti concretamente compiuti, è indubbio che la relazione del mondo clericale con il genere femminile resta complicata ed è tuttora un cruccio tanto per le cattoliche militanti quanto per milioni di cristiane «qualunque».
Le donne tengono in piedi la Chiesa, attraverso le più varie forme di partecipazione e impegno. Loro sono quelle che sostengono le parrocchie (l’80% degli addetti alla catechesi sono di sesso femminile), eppure rimangono sempre “le abitanti del piano di sotto”. Loro sono ormai presenti negli istituti teologici, possiedono titoli e competenze, assumono responsabilità importanti, eppure si scontrano quotidianamente con difficoltà, incomprensioni, ostacoli, rifiuti, disparità di trattamento.
Di fronte a questa situazione si capisce perché alcune donne sentano l’esigenza di organizzare sit-in di protesta e di impugnare cartelli e megafoni per accendere i riflettori sul problema e provare a ottenere maggiore riconoscimento.
A scendere in piazza, però, è sicuramente una minoranza rispetto alla totalità delle donne impegnate all’ombra dei campanili italiani. Già, perché le cristiane “comuni” – quelle che ogni giorno, per mestiere o per ventura, hanno a che fare con quel particolare universo maschile che è la Chiesa e hanno dunque il polso della situazione – raramente partecipano ai cortei; eppure si rendono conto nella prassi del problema e a questo livello provano a risolverlo. Come?
Nell’ultimo anno sono andata a chiederlo alle dirette interessate: ho incontrato 15 donne scelte non tra le solite “esperte” che si sono già espresse sul tema in ponderosi saggi e convegni, ma persone di diversa esperienza (la professoressa di religione, la psicologa, la missionaria, la madre, l’ex monaca, la giovane impegnata nella carità…) che si confrontano con la vita concreta delle comunità cristiane e le loro contraddizioni.
Da questi incontri è nato il volume “Quello che le donne non dicono alla Chiesa. Storie vere di una relazione complicata”, uscito per Àncora martedì scorso. Le testimonianze raccolte – pur differenziandosi nei toni – mostrano che la questione femminile nella Chiesa vive oggi in modo diverso rispetto al passato, ben oltre l’ideologia, in una fase di post-femminismo in cui le rivendicazioni «arrabbiate» hanno lasciato il posto a una sorta di «rivoluzione tranquilla», una consapevolezza diffusa nelle donne rispetto alla propria identità e autonomia.

La partita delle “donne comuni” dunque sembra non giocarsi più con proclami in piazza, bensì proprio a livello ecclesiale di base, dove le donne ricercano un’inversione di rotta sostanziale di mentalità e cultura. In quest’ottica a guidare il cambiamento non sono più poche militanti ma una maggioranza «silenziosa» diventata talmente consapevole di sé da non accontentarsi più di vincere la battaglia unicamente scrivendo il proprio nome su una targhetta. Occupare le stesse cariche e svolgere i medesimi ruoli degli uomini non sembra la strada più efficace da seguire per ottenere riconoscimento. Sono le donne «ordinarie» che oggi invece appaiono più pronte ad assumersi le responsabilità di un cambiamento, graduale ma inarrestabile.
ILARIA BERETTA, 26 anni, è giornalista professionista. Collabora con quotidiani e riviste dando spazio soprattutto a buone pratiche ed esperienze di solidarietà. Ha fondato il blog buonenotizie.co, dove dal 2014 racconta storie positive dall’Italia e dall’estero. Nel 2017 ha vinto il Premio De Carli per l’informazione religiosa nella categoria «Giovani».
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