“Mamma”, “Papà” (prima o dopo “pappa”, simile per assonanza). Queste sono state le nostre prime parole. Le ultime di Sean Rooney sono state “Ti amo”.
Lui, che lavorava alla Torre Sud di Ground Zero, a New York, le ha riferite alla moglie Beverly Eckert. Era l’11 settembre 2001, giorno dell’attentato. Era al piano 105, in trappola, sopra le fiamme che avrebbero distrutto tutto: «A un certo punto – raccontò Beverly –, quando sentii che faceva più fatica a respirare, gli chiesi se sentiva dolore. Dopo un attimo di pausa rispose di no. Mi amava tanto da mentirmi». Con lui, altre persone, in aereo o nella torre, quel giorno dissero “Ti amo” dall’aereo o da una delle due torri.
Simeone, invece, l’ultimo momento lo attendeva. Forse non vedeva l’ora che arrivasse. Lo Spirito Santo, racconta il Vangelo di Luca, «gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore». Chissà da quanto aspettava. Al passaggio di Giuseppe e Maria con il bambino Gesù nel tempio, prese il bimbo e prese Gesù bambino tra le bracia, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Che belle le ultime parole di Simeone. E che belle, pure nel dramma, le ultime parole di Beverly. E che le ultime nostre parole di ogni giornata siano all’altezza, o anche almeno la metà. Sarebbe già tanto.
Il vangelo di domenica 2 febbraio
Lc 2, 22-40
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
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