(di Andrea Gironda) «Se voi foste uno dei magi, cosa portereste a Gesù bambino?». Ho rivolto questa domanda ad alcuni miei alunni, e queste sono state le risposte.
I bimbi magi
«Porterei una corona con i simboli della pace» (Beatrice, 7 anni)
«Un fiore e dei giochi perché era comunque un bambino» (Samuel, 8 anni)
«Dei pannolini» (Filippo, 8 anni)
«Una copertina con una colomba sopra» (Carmen, 7 anni)
«Le stesse cose che hanno portato i re magi perché Lui… non è normale!» (Giulia, 8 anni)
«Un cammello per viaggiare» (Davide, 9 anni)
«Una ghirlanda piena di fiori» (Edoardo, 9 anni)
«Il pane e il vino visto che poi Lui ce li ridarà!» (Anita, 8 anni)
Uomini dello stupore
Ma i Magi, figure delle quali ci parla il Vangelo di Matteo, erano veramente tre? Da dove venivano? Quali i loro nomi? Come erano vestiti? A che età hanno visto Gesù?
Sulle note biografiche, lo sappiamo, i vangeli sono latenti: non sempre infatti ci danno le informazioni che vorremmo, piuttosto vanno al sodo, al cuore dei racconti per spiegarne il senso.
I Re magi, lo ammetto, mi intrigano. Il mistero che li circonda fa aumentare il loro fascino; pensiamo ai nomi che la tradizione ci trasmette, Melchiorre, Gaspare e Baldassarre, nomi importanti non c’è che dire. Sono arrivati a Gesù portando dei doni piuttosto strani: cosa se ne potrebbe fare un bambino della mirra? I magi arrivano a destinazione non con il navigatore satellitare ma osservando un astro, una stella cometa che al loro tempo rappresentava una divinità. Si mettono in viaggio convinti di incontrare un re tanto da domandare «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?» (Mt 2,2). Gettano nel panico Erode che si sente minacciato da un nuovo re, ma hanno ben chiaro chi stavano cercando.
I magi erano uomini dello stupore, aperti e pronti a stupirsi. Chissà cosa avranno pensato quando, entrando nella casa, hanno trovato un bambino con Maria, sua madre. Non hanno detto: «Ci scusi, abbiamo sbagliato, cercavamo un re”, riportandosi i doni indietro; piuttosto si sono prostrati, mossi dallo stupore e dalla meraviglia, riconoscendo quel Bambino come Re.
I miei doni
I miei alunni porterebbero oggetti utili ad un bambino, mettendosi davanti a Lui con il loro cuore di bambini: coperte, cibo, vestiti, giochi, magari una ghirlanda.
Mentre arrivavano le risposte accade qualcosa che non mi aspettavo: una bambina alza la mano mi chiede cosa avrei portato io al Bambino Gesù. Già, io cosa porterei? Non mi sono mai immedesimato nei panni di Baldassare. Beh, c’è sempre una prima volta. Chiudo per un attimo gli occhi, mi immagino in groppa ad un cammello, con la corona, abiti di seta dell’oriente… Al Bambino Gesù porterei anche io tre doni.
Un mappamondo
Apro la borsa e per prima cosa gli darei un mappamondo. Chiederei al Bambino Gesù di pensare Lui a proteggere il mondo, a vegliare su di esso ricordando agli uomini che i veri saggi sono i bambini e che, il Figlio di Dio, per farsi uomo, sceglie di farsi bambino e non un supereroe.
Fotografie
Poi porterei delle fotografie, tante, tantissime. Le foto dei miei alunni, di quelli di adesso e quelli del passato, dei bambini che conosco e anche di quelli che non conosco. Gli direi “Gesù, i bambini… ricordati i bambini, non devono soffrire, non devono subire violenze, non devono morire di fame. Ti prego, proteggili”.
Un vocabolario
Ultimo dono. Un vocabolario. Non perché Gesù non conosca il significato delle parole, piuttosto perché noi uomini, a differenza delle altre creature, abbiamo il dono della parola. Con esse amiamo e odiamo, doniamo e togliamo, curiamo e feriamo. Chiederei a Gesù di donarci parole buone, che sappiano costruire ed edificare, elevare l’uomo per la sua intelligenza e creatività, distruggendo quelle parole che diventano armi capaci di far male più di un coltello.
Saranno tre doni strani anch’essi, ma al Figlio di Dio porterei proprio ciò di cui c’è più bisogno: la pace, bambini felici e parole di amore.
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