Ci sono domande che mettono un insegnante spalle al muro. Come questa: Perché Dio ci ha messo qui sulla Terra e non ci ha tenuto lassù con lui?”.
Per qualche istante sono rimasto assorto cercando una risposta da offrire al mio alunno, Tommaso, otto anni, che nel frattempo incalzava sempre di più; ne è nato un dibattito interessante, direi di livello, nonostante la giovane età del mio interlocutore. Mi sono ripromesso di pensarci e rifletterci.
A stimolare la domanda è stata la lettura del racconto della Genesi sulla creazione. Dio crea tutto, dalla luce al mare, dal Sole alla Luna, fino agli animali e all’uomo, quest’ultimo creato a Sua immagine e somiglianza, l’unico capace di sentire la Sua presenza. La domanda di Tommaso è tagliente: non poteva tenerci lassù, in cielo con Lui? Un’osservazione più che lecita.
L’uomo come un albero
A tal proposito è interessante notare come i primi cristiani, tra i simboli che raffiguravano nelle catacombe, inserivano l’albero, simbolo di vita. Affondando le sue radici nella terra, l’albero ad essa rimane saldo, ma fin dal primo germoglio il suo sviluppo è proteso verso il cielo, come la vita dei cristiani. La saggezza di questi primi credenti riassume in modo chiaro e significativo la vita dell’uomo che parte dal cuore di Dio, ha concretezza nella vita terrena, per poi tornare al cielo. La nostra meta finale è il cielo, perché siamo fatti per il cielo, per questo l’uomo è chiamato “figlio di Dio”. In Paradiso avremo la possibilità di vedere Dio così come egli è (1 Gv 3,3).
Un altro passo biblico importante è quello dell’Apocalisse (7,4) in cui viene descritta una visione paradisiaca dove gli uomini salvati sarebbero 144.000: questo numero nella Bibbia indica la totalità dell’umanità. Una moltitudine immensa composta di uomini di ogni razza, nazione, popolo e lingua. Appare chiaro che l’uomo avrà una vita in cielo e Dio ci vuole in cielo, seppur passando dalla vita terrena.
Dio vuole la nostra felicità
Nelle beatitudini Gesù ha indicato la strada: Dio vuole l’uomo beato, cioè perfettamente felice, nella totalità della gioia. Questo meraviglioso testo, chiamato Discorso della montagna, indica quali saranno le categorie dei veri beati. Tra questi ci sono i “puri di cuore”, coloro che hanno Dio nel cuore e sanno vedere tutto con il colore di Dio; un cuore puro non può essere diviso da ciò che lo ha creato.
Dio accompagna l’uomo per tutta la sua esperienza terrena, anche nel momento del dolore. Beati sono coloro che “sono nel pianto”: come un bambino che piange e riceve una carezza dai propri genitori, anche la sofferenza, il dolore e qualsiasi esperienza possa farci piangere, permette a Dio di offrirci la sua carezza.
Viviamo sulla terra eppure guardiamo verso l’alto, al Padre Nostro che è “nei cieli”, ma anche a coloro che sono in cielo. “Il cielo, si perde il pensiero quando guardo il cielo” recitano i versi di una bellissima canzone di Lucio Dalla. Il nostro pensiero si perde nell’infinito dell’azzurro, tra le nuvole irraggiungibili: l’anima tende verso il cielo per ricongiungersi con i propri cari e arrivare, una volta purificati, a contemplare il Signore.
Osservare la natura è un modo per fare un’esperienza di infinito. Pochi giorni fa guardavo una fotografia scattata da un satellite in cui la Terra, vista da Saturno, altro non era che un puntino minuscolo nell’immensità dell’universo. Anche camminare lungo la spiaggia, sulla riva del mare, guardare quell’orizzonte lontano ci permette di fare un’esperienza di infinito; davanti alle meraviglie della natura ci rendiamo conto di quanto siamo incredibilmente piccoli, come un granello di sabbia ma capaci di contemplare la sua infinita grandezza.
È la speranza di ognuno di noi, per qualcuno una certezza, per altri un’illusione offerta dalla religione. Ognuno cammina verso il suo orizzonte, con le proprie domande, le proprie incertezze, i dubbi e le contraddizioni. “Cielo cielo, non tutti quelli che parlano di cielo ci andranno. Io ho un’arpa, tu hai un’arpa, tutti i figli di Dio hanno un’arpa. Quando giungerò in cielo, prenderò la mia arpa, suonerò per tutto il cielo di Dio” recitano i versi di un antico gospel. Mi piacerebbe pensare che quel cielo a cui tendiamo, sia un luogo di pace e di incontro, di luce e di calore dove potremo suonare e cantare contemplando l’infinita bellezza di un Dio capace di farci teneramente piccoli ma eternamente infiniti. Perché è lì che ci ha riservato un posto.
Lascia un commento