(di Guglielmo Cazzulani) Compagnia delle peggiori che circola nei paraggi dell’oratorio. Quindicenni. L’ultima volta li ho affrontati a muso duro, alzando di parecchio la voce: credo mi abbia sentito anche il sismografo del Gran Sasso.
Ma non ragazzi grami: l’impressione mi è stata confermata da un insegnante delle scuole medie che li conosce bene. Non è che posso fare il duro per partito preso contro di loro. Per cui qualche giorno fa gliel’ho buttata lì: ho chiesto al capobanda un favore, appena avesse finito la partita di calcetto. Poi io sono stato inghiottito dalle confessioni in cappella, e lui se ne è andato fuori dall’oratorio con tutta la sua compagnia. Sembrava finita lì.
Oggi, a distanza di tempo, mi sento bussare alla porta dell’ufficio. Mi domanda: «Don, per quel favore che mi avevi chiesto?». Guai a chi mi parla male del prossimo: nascosto nel cuore di tutti c’è un seme di bontà. A volte bisogna frugare parecchio per trovarlo, ma da qualche parte deve pur saltare fuori. Piccolino, malaticcio.
A Natale accendo la mia candela davanti al bambinello. Mi commuove la grotta del presepio. Di primo acchito non si capiscono quelle manine di gesso, tese verso i poveri di Betlemme. Erano pastori, gentaglia, mica stinchi di santo. Spesso confusi con i ladri, avevano una reputazione più
sudicia delle loro stesse capre. Però ho a che fare con un Dio che ha il maledetto vizio di credere. Soprattutto in noi. In quel fondo di bontà – soffocata, strozzata – che tutti bene o male ci portiamo dentro. «Dio non ci ama perché siamo buoni e belli, Dio ci rende buoni e belli perché ci ama» (san Bernardo).
da «24 minuti a Natale – Dio si avvicina» (Ed. Àncora)
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